lunedì 29 giugno 2009

Parole



Parole

di Lilli Guacci


E se improvvisamente scomparissero le parole?
Se piano piano evaporassero… prima quelle corte corte, come le congiunzioni, tipo le e… o le semplici o… tra una parola e l’altra?
Poi i… di, a, da, in, con, su, per, tra, fra.
Via, sparite, lentamente dissolte dal foglio, lasciando voragini bianche. Certo, leggendo tutta la frase, riusciremmo a capire che una volta erano lì… ma poi… via, in rapida successione, tutto il resto.

Certo le parole complesse sarebbero le più dure a morire… avrebbero tante consonanti e vocali a fungere da collante, non mollerebbero la presa tanto facilmente, avvinghiate l’una all’altra.
Parole come “metempsicosi” o “antropologia” rappresenterebbero la resistenza finale. Issate come barricate, vessillo del mondo che ha ancora voglia di spiegarsi, di svolgersi. Ma poi sarebbero abbattute anche loro, prima le vocali, lasciando il codice fiscale del concetto e poi paf, bolla di sapone, più nulla.

Scrivere per emozionare e raggiungere, qui, non avrebbe più senso. Saremmo un niente e passeremmo le ore impotenti davanti a questi pc, chiedendoci se anche agli altri questo scherzo del destino stia infliggendo la stessa assenza.
E poi… sarebbe il turno delle parole parlate.
Bocche che si aprono e dopo un po’ ci fanno sembrare pesci in un acquario.


Non è un sogno, siamo svegli, le braccia urtano cose, le mani afferrano… è che proprio i linguaggi sono spariti dal mondo.
Senza segni, dissolvono gli ideogrammi, si sbiancano i muri e i libri nelle biblioteche, più nessuna segnaletica stradale, via i numeri dagli autobus, via tutto.

Non è lo scenario di una apocalisse. E’ l’inizio di un mondo nuovo, in cui i corpi sarebbero forzati a ritrovare un linguaggio più spontaneo. I linguaggi del fisico che riprendono consistenza, i visi che riacquistano vitalità o dolore, per cercare di ritrovare tutto quello che l’assenza di verbo ci ha fatto perdere.
Passi più duri o più morbidi, flessuosità o durezze da reinventare.

Forse toccarsi di più servirebbe. Toccarsi, rendere i corpi più permeabili, allacciarsi di più, indicare dritto con le dita le cose che si desiderano nei negozi, abbracciarsi ancora per ringraziare, allontanare con maggior veemenza chi non si vuole vicino.
Segnare di più con le aderenze e i gesti decisi, le nostre vite.
Probabilmente sarebbe vitale ridiventare più selvatici e animali… loro si, che si capiscono anche senza parole.


Violento, improvviso percorso a ritroso, verso di noi e verso gli albori dell’umanità. Come non saper più camminare, come non saper più mangiare da soli, come adulti neonati, eppure costretti a rientrare nella nostra pelle e a capire come usarci.
Usare noi stessi e usare gli altri. Strumenti di scambio, dispositivi di forze nuove, attrezzi novelli, lessico primitivo che si deve far diventare tribale e poi comune.

Come sarebbe un mondo, senza parole, con gli uomini e le donne che imparano di nuovo a reagire con il corpo un rituale che è pura spontaneità?
Non ci siamo forse persi, negli ultimi millenni?

Michelangelo: La Creazione di Adamo, 1510 (part.)


7 commenti:

Amfortas ha detto...

Bella riflessione, profonda, mi ha ricordato la fisicità ritrovata di Cecità di Saramago.
Qualche volta ci penso anch'io a questa finta Apocalisse, in termini diversi, ma la sostanza rimane la necessità che avverto di riappropriarmi di un mondo più silenzioso, più animalesco.
Ciao.

Solimano ha detto...

Sono andato a verificare nel mio Profilo Utente Blogger e alla voce interessi avevo scritto:

Nell'ordine: scrivere guardare toccare gustare annusare parlare ascoltare leggere navigare tutto amorosamente se no no

Tutto sommato mi condivido, perché scrivere mi piace troppo per smettere e perché a parlare ascoltare leggere ho dato una priorità inferiore a guardare toccare gustare annusare.
Il che significa che sto seguendo la prima regola, che ha detto nonricordochi: essere un buon animale.

Anche sullo scrivere parlare ascolare leggere ce n'è da dire: quando leggo o ascolto qualcuno che scrive o parla in un certo modo, scatta la noia e penso ad altro.
E quindi Dante e Gadda sì Petrarca e Pavese no. Il che significa che sono del tutto minoritario, perché il guaio della letteratura italiana (e non solo della letteratura) è che tutti dicono che il più grande è Dante, ma la grande maggioranza dei professori e degli scrittori sono petrarcheschi. In Dante, le parole sono cose, nel Petrarca le parole sono parole, belle magari, ma parole.

grazie e saludos
Solimano
P.S. E l'amore? Dicono di più certi gesti minimi, di mille parole parlate o scritte.

Silvia ha detto...

Io adoro le parole e non riesco a pensare senza parole, perchè se provo un sentimento è con le parole che lo connoto, anche se a volte diciamo non ci sono parole per...e questa assenza dice tutto. Ma anche niente.
Il corpo ha mille modi per dire ciò che vuole e lo fa costantemente anche se non ce ne accorgiamo. Arrossisce a volte, pure, anche se non vorremmo e scopre così le nostre debolezze.
Siamo abituati a non farci caso, questo sì, ad essere distratti, ma non è vero che il corpo non parla.
Parla eccome. Io osservo di più il linguaggio del corpo che delle parole pronunciate spesso levigate per la circostanza.
Io uso molto il mio corpo per comunicare e proprio per questo non potrei farlo allo stesso modo con chiunque, per questo ritengo importante l'uso della parola, mi aiuta nel mondo complesso in cui viviamo. In un mondo senza parole sarebbe necessario partire dai versi, come fanno gli animali coi loro bellissimi e ricchi linguaggi per ampliare la gamma comunicativa e di appartenenza.
E si tornerebbe a punto di oggi.
E poi senza parole dovrei fare il mio fagottino e venirvi a cercare uno ad uno, ammesso di trovarvi perchè non ci sarebbero indicazioni di sorta e nessuno mi direbbe di preciso. E poi a ben pensarci, nemmeno vi conoscerei.
Siamo noi gli animali dal linguaggio complesso e possiamo pure creare musica, danza, pittura.
Non lamentiamoci e impariamo invece a godere appieno della ricchezza espressiva di cui disponiamo:)

Habanera ha detto...

Lilli, bentornata sul Nonblog.
Al ritorno dalla tua trasferta in Liguria passi da qui a salutarci?
Ciao, carissima.

Amfortas, io attraverso dei periodi, per fortuna non lunghi nè frequenti, in cui ho addirittura la nausea delle parole, sia scritte che parlate. In quei casi cerco silenzio e solitudine e solo dopo aver ritrovato me stessa sono di nuovo pronta a comunicare anche con gli altri.

Solimano, Silvia, voi due, emiliani ed estroversi, proprio non riesco ad immaginarvi in silenzio.
Avete il dono di usare le parole per significare realmente qualcosa e colpite sempre nel segno.
Non saprei rassegnarmi a vedervi muti come pesci ma, nel caso, vi abbraccerei forte per farvi sentire che vi voglio bene.

Ciao a tutti
H.

Silvia ha detto...

Effettivamente tesoro posso pensarmi muta solo in un frangente, che mi auguro più lontano possibile:) Eppure sto spesso in silenzio. Vivendo sola puoi immaginare quante ore, a volte giornate intere, rimango senza proferir parola. E poi davanti a certe meraviglie o disastri della natura o opere dell'uomo grandiose o terribili preferisco non aprir bocca.
Un abbraccio

Aliceinbrandland ha detto...

poetico...

Lilli ha detto...

Grazie grazie e ben ritrovati voi. E' un piacere stare qui di tanto in tanto. Leggo e taccio, ma per pudore piu' che per indifferenza (mai!).
Nella realtà piu' vado avanti piu' sono innamorata delle parole e piu' mi rendo anche conto che sono pericolose come pallottole, anche quando accarezzano. Anzi, molto di piu' se accarezzano.
Ma questa è tutt'altra storia.
A bientot.
Lilli