domenica 10 maggio 2009

Testavuota e Testapiena




Testavuota e Testapiena

di Annarita Verzola



Uova sbattute a colazione, montagne di tagliatelle casarecce a pranzo, tazze di ciccolato piene di biscotti a merenda, bistecche enormi a cena.
Questa era la dieta con la quale sin da piccolo il principino Romualdo era stato allevato su precise istruzioni della regina.
Il re aveva perso il conto delle cuoche succedutesi nella cucina reale dal giorno della nascita di Romualdo. Ognuna di loro resisteva pochi giorni, al massimo una settimana, sotto il tirannico controllo della regina che trovava immancabilmente un difetto inaccettabile.

Una non sapeva sbattere a dovere le uova, l’altra faceva le tagliatelle troppo sottili o troppo spesse, chi faceva la cioccolata troppo liquida o troppo densa, chi cucinava la carne al sangue o la cuoceva troppo.


In realtà il principino non sembrava soffrire per i continui avvicendamenti di cuoche, visto che, all’età giusta per incominciare a studiare, era diventato tondo come un barilotto e si muoveva con fatica sulle corte gambette.

Panciapiena era il perfido soprannome con il quale i servitori lo chiamavano tra loro nei momenti di malumore dovuti alle collere improvvise della regina. E a quel buffo appellativo non tardò ad aggiungersene presto un altro: Testavuota.
E sì, perché con gran dispiacere del re, fu ben presto evidente che i precettori chiamati a corte per provvedere all’istruzione di Romualdo, non riuscivano a fargli restare in testa nemmeno una piccola nozione, una regoletta, una qualsiasi informazione. Tutto gli entrava da un orecchio e gli usciva dall’altro, senza riuscire ad imprimersi in quel suo cervello che sembrava intorpidito. E così il povero Romualdo divenne per tutta la corte il principe Testavuota della Panciapiena.


A peggiorare la situazione un giorno venne anche il licenziamento della cuoca che più di tutte aveva resistito: tre settimane e cinque giorni.
La regina ebbe presto modo di pentirsi per quella decisione perché più nessuna cuoca si era presentata a palazzo e il principino Romualdo cominciava a deperire a vista d’occhio.
Se dobbiamo essere obiettivi, il principino stava perdendo i chili superflui e si avviava a diventare un ragazzino normale, anche se soffriva molto per la mancanza dei piatti sostanziosi ai quali era abituato.
Una notte in cui non riusciva a dormire per i crampi allo stomaco, Romualdo ebbe un’idea geniale. Avrebbe incominciato a cucinare da solo e si sarebbe preparato tutti i manicaretti più gustosi descritti nei libroni di ricette che aveva sempre visto in cucina.


Detto e fatto. Prese la candela dal comodino e scese quatto quatto in cucina a prendere un libro di ricette per leggerlo. Rannicchiato sotto le coperte, incominciò a sillabare con grande fatica le dosi e le istruzioni. Se si fosse trovato alla scrivania, davanti a uno dei suoi insopportabili precettori, avrebbe gettato via il libro scoppiando in lacrime, ma ora ne andava della sua sopravvivenza. Strinse i denti e non si arrese, continuando a leggere con gran fatica per tutta la notte.
La mattina, sfinito per lo sforzo e per la fame, era riuscito a leggere una gran quantità di ricette e non vedeva l’ora di metterle in pratica. Si vestì in fretta e scese nella grande cucina, dove la servitù aveva già acceso un bel fuoco, anche se non si sapeva chi avrebbe cucinato e che cosa.
Quando videro il principino rimboccarsi le maniche e ammucchiare sul tavolo tutti gli ingredienti per una torta, nessuno osò intromettersi, pur paventando la reazione della regina, che non tardò a manifestarsi in tutta la propria potenza.
Vedendo il figlio infarinato e con le mani piene di pasta, alla regina venne una crisi isterica, ma Romualdo era troppo occupato a realizzare la torta per occuparsi di lei e dei suoi strilli.
Quando il dolce fu sfornato, aveva un aspetto assai invitante e un profumo delizioso si sparse per la cucina, giungendo a solleticare persino il naso del re.


Il principino divise la torta in tante parti uguali e volle che tutti l’assaggiassero. Per un momento nessuno osò parlare, semplicemente perché il dolce aveva un sapore divino. La pasta si scioglieva in bocca e la farcitura era una nuvola delicata.
Romualdo staccò dal muro l’ampio grembiule della cuoca che se n’era andata e sancì così la propria vocazione culinaria, che fu accolta dalla servitù con grida di giubilo.
A nulla valsero gli urli della regina e i ragionamenti del re, Romualdo aveva trovato la propria strada e non intendeva abbandonarla.
Passarono gli anni, Romualdo si faceva sempre più alto e robusto, i precettori erano stati da tempo licenziati e lui leggeva solo libri di cucina. Oramai ne aveva una collezione vastissima e la sua fama di eccellente cuoco e di buongustaio si era sparsa oltre i confini del regno.
I pranzi allestiti al castello erano argomento di pubblica conversazione per la ricchezza, l’originalità e l’elaboratezza delle vivande. Famosi cuochi di ogni paese venivano a corte appositamente per conoscere il principe cuoco, chiedergli consiglio e seguire gli insegnamenti che dispensava con grande generosità.

La fama di Romualdo giunse alla corte di un regno lontano nel quale i sovrani da anni vivevano nell’angoscia e nella disperazione a causa della loro figlia, una ragazza bellissima e di grande intelligenza, ma esile come un giunco. I più grandi cuochi si erano avvicendati alla cucina del palazzo nel vano tentativo di indurla a mangiare, ma la principessa Matilde rifiutava con ostinazione, quasi con ribrezzo, i loro manicaretti. I sovrani l’avevano fatta visitare dai più famosi medici, ma il loro responso era stato unanime: la principessa era sana come un pesce. Solo che non aveva tempo per mangiare.


Il re possedeva una biblioteca invidiabile per ricchezza e vastità e la principessa, che aveva imparato a leggere sin dalla più tenera età, vi passava tutte le giornate e buona parte delle nottate, sempre immersa nella lettura, scordandosi di mangiare e di bere. Solo la sua nutrice riusciva a ficcarle a forza in bocca forchettate di sostanziosi cibi mentre era tutta presa a leggere un trattato di filosofia e a farla bere con una cannuccia mentre studiava la dimostrazione di un teorema. Affettuosamente la chiamava la mia principessa Testapiena della Panciavuota.


Quando la fama delle irresistibili leccornìe di Romualdo giunse fino a quella corte lontana, il re gli mandò un messaggero affinché concedesse loro l’onore di venire a cucinare le sue prelibatezza per la principessa Matilde.
Quel caso disperato toccò profondamente la sensibilità di Romualdo che senza indugio decise di partire, portando con sé i preziosi libri di cucina e alcuni particolari attrezzi di propria invenzione.


Il principe cuoco fu accolto con tutti gli onori dovuti al suo rango da ogni membro della corte, tranne che dalla principessa Matilde. Non per cattiva educazione, ma solo perché egli ebbe l’improvvida idea di giungerle davanti nel bel mezzo di una difficile traduzione dal sanscrito vedico.
Romualdo non si perse d’animo per così poco e dettò poche e semplici disposizioni. La cucina doveva avere acqua in abbondanza e fuoco sempre acceso, in ogni ora del giorno e della notte, e gli dovevano essere procurati esattamente gli ingredienti del tipo e della quantità che avrebbe richiesto di volta in volta.


In pochi giorni Romualdo si era perfettamente ambientato a corte e osservando le letture della principessa, si sbizzarriva nel produrre succulente pietanze prendendo spunto da ciò che la principessa leggeva in quel momento. Così facendo, gli sorsero improvvise, ma del tutto legittime, curiosità di storia, di geografia, di arte, di filosofia, di scienza e piano piano la principessa Matilde si trovò interessata agli insoliti ingredienti dei quali le capitava di leggere nei suoi libroni, divertendosi un mondo ad applicare per Romualdo in cucina i principi delle leggi chimiche, fisiche e matematiche che ben conosceva.
Per farla breve Romualdo e Matilde cominciarono a trascorrere interessantissime giornate nelle quali la principessa si nutriva delle specialità di Romualdo, ascoltando attentamente le sue spiegazioni culinarie, mentre il principe apprendeva con sorprendente facilità nozioni di ogni genere.

In capo a un anno la principessa Matilde era rifiorita e il principe Romualdo era diventato coltissimo. Inutile dire che nel frattempo i due giovani scoprirono di essere innamorati e la notizia del loro fidanzamento fece il giro dei regni circostanti mentre la fama del banchetto allestito per l’occasione diventò leggendaria.
Quando ebbero l’età giusta per salire al trono, fu celebrato un grandioso matrimonio e i due giovani sovrani, alternando lo studio alla gastronomia, regnarono per lunghi anni con saggezza sui loro paesi riuniti, con grande soddisfazione del popolo.


Pubblicato su Fili d'aquilone

8 commenti:

Habanera ha detto...

Cara Annarita, rispondo qui al tuo messaggio per ringraziarti delle tue belle parole e per aver consentito che questo racconto venisse pubblicato anche qui.
Fili d'aquilone è una scoperta abbastanza recente per me e ne sono incantata. Consiglio a tutti di seguire il link in fondo alla pagina e di andare a vedere con i propri occhi.
A te un bacione ed un grazie particolare.
H.

Silvia ha detto...

Mi ha messo di buon umore:) Mi ha fatto tornare bambina, mi ha fatto sognare ancora, dicendomi cos'è l'amore o come dovrebbe essere.
Mi ha fatto venire fame! Una fame boia:)
Mi ha fatto pensare che non avrei mai potuto essere una principessa Testapiena e panciavuota, soprattutto per la seconda definizione.
Mi è piaciuto molto:)
Grazie.

Le immagini sono sempre un incanto.

giulia ha detto...

Molto carina. Mi piace questo principino che decide di fare da sè e si rimbocca le maniche a dispetto dei suoi genitori che con la loro educazione lo avrebbero fatto diventare un rammollito.
E quanto può fare un buon cuoco e l'amore!

E Habanera le immagini sono davero deliziose.
Un abbraccio

Solimano ha detto...

Il sanscrito vedico è importante, ma con quelle parolone sanscrite lunghe un chilometro (dove andrà l'accento? secondo me ne servono due per parola, di accenti) come si fa, senza almanco un panino di scorta?
E in certe lingue africane lo stesso aggettivo ha due significati: bello e grasso.
E Menenio Agrippa col suo apologo, che l'intestino non è da trascurare, si fa presto, a predicare l'austerità ai plebei!
Eppure continuiamo con la scissione fra corpo e spirito, tale e quale com la distinzione fra arti liberali e arti meccaniche, tale e quale con le parole dei libri che stanno più in alto delle immagini dei quadri o del cinema.
Ho provato, a studiare matematica stando a digiuno: non funzionava, non capivo neanche il corollario più banale.
Ma la discorsa sarebbe lunga. Dico che lo yoga significa unione, ed è importante come il sanscrito vedico, e che quando una donna dice ad un uomo: "Mi piace la tua parte spirituale" gli sta semplicemente dicendo di NO in modo gnè-gnè.

grazie Annarita e saludos
Solimano

Silvia ha detto...

Solimano se glielo dice dopo due ore di sesso sfrenato è solo perchè vuole bersi un buon caffè e non gnè-gnè.

Solimano ha detto...

Furbissima Silvia!
Tu cambi il contesto pur di avere ragione. E non posso che darti ragione.
Perché dopo due ore di sesso sfrenato, come è ridotto quel poveruomo? A uno straccetto, felice sì, ma è uno straccetto innocuo (o innoquo? Credo innocuo, ma se lo chiedessi a qualche alto dirigente del PD risponderebbe che si dice innocquo, pur di non scegliere).
Questo felice ed innocuo straccetto, cosa vuoi che si aspetti dalla ancora pimpante controparte (controparte... dico per dire). Che gli dica: "Mi piace la tua parte spirituale". Un benvenuto gnè-gnè! E l'inocuo si sente lodato proprio per la sua innocuità.
Tutte robe che ho appreso sui libri, non come esperienza personale, ho fatto un precocissimo voto di castità a cui mi attengo con scrupolo.

saludos y besos
Solimano
(saludos innocui, besos un po' meno)

Silvia ha detto...

Ma soprattutto perchè gli ha già detto di sì. E vogliamo ammettere che può anche dirgli di sì, proprio perchè gli piace la sua parte spirituale? Magari perchè fa un ottimo caffè?:)

annarita ha detto...

Guarda guarda questa innocua favoletta dove ci ha portati... io quoto Silvia: apprezzare la parte spirituale di un uomo non è mai così disgiunto dall'apprezzare anche la sua parte fisica. Le due entità vanno a braccetto, o almeno è quanto si augura ogni donna. Il mito del bello e vuoto si è perso per strada, per fortuna. Salutissimi, Annarita