Prima o poi dovrò decidermi a mettere per iscritto quella che -con un pizzico di pomposa immodestia- potrei intitolare Storia ufficiale della mia famiglia, dal Regno di Sardegna al Granducato di Toscana, passando per lo Stato pontificio.
Per farlo sarà indispensabile l'apporto della memoria ancora ottima di mia zia, che in gioventù svolse alcune indagini sui nostri antenati arrivando al XVIII secolo e scoprendo che all'epoca eravamo (addirittura!) conti in quel di Torino.
Ma qui, adesso, non voglio certo spingermi così lontano: anche perchè, con i problemi di connessione di cui soffre attualmente il mio pc, il tempo alla tastiera è diventato per me prezioso, e devo utilizzare ogni minuto disponibile con estrema parsimonia.
Mi limiterò quindi a raccontarvi a grandi linee la storia dei miei quattro nonni, paterni e materni, unita a quella dei miei genitori da una concatenazione che credo di poter definire assolutamente non comune.
A Cagliari, giusto a cavallo fra l'Ottocento e il Novecento, vivevano due fratelli, Carlo e Mario, di famiglia piuttosto benestante, alla quale appartenevano in particolare alcune delle maggiori botteghe di fornaio della città.
Tra l'altro una delle loro cugine, straordinariamente avvenente, passava per essere la più bella cagliaritana del tempo, ed è stato proprio pensando al suo nome -Federica- che ho battezzato così mia figlia: la quale, aldilà del comprensibile orgoglio materno, fa senz'altro onore alla fama dell'antenata.
Poco prima dello scoppio della Grande Guerra, Carlo si trova a Roma per lavoro quando, complice forse il ponentino locale, resta folgorato dalle grazie di Adalgisa, fanciulla poco più che adolescente figlia di uno stimato funzionario del Genio civile, rimasto vedovo con due figlie ancora giovinette.
Adalgisa, detta familiarmente Gisa -bionda, formosa, occhi chiari- ha infatti una sorella, Ines, maggiore di lei di pochi anni, più esile, bruna e dagli occhi scuri. La moglie ideale (dovette pensare il robusto Carlo) per suo fratello Mario, bel ragazzo moro vagamente somigliante a Rodolfo Valentino.
Detto, fatto: Carlo sposa Adalgisa, tornando con lei in Sardegna, mentre Mario si fidanza ufficialmente con Ines.
Unioni combinate a tavolino, potrebbe obiettare qualcuno; matrimoni organizzati, destinati a durare solo in apparenza, in nome del quieto vivere reciproco. Eppure, la vita coniugale di Carlo e Gisa prosegue per circa 30 anni, allietata dalla nascita di ben sette figli, tre maschi e quattro femmine, senza contare due aborti spontanei e un bimbo vissuto solo tre giorni (trascorsi, ricordava mia nonna con un misto di rassegnazione e di strazio, in un pianto sommesso e continuo).
Nel frattempo Mario, spinto dall'esigenza di costruirsi una posizione più solida e desideroso di offrire un futuro felice alla sua promessa sposa, s'imbarca per l'America, partendo da Napoli su di un bastimento che lo porterà a Boston, insieme a tanti altri migranti come lui.
Da lì, in seguito ad alterne vicende -ricostruite dalla soprascritta solo attraverso lunghe ricerche su siti internet USA- si sposta a San Francisco, ormai risorta dopo il disastroso terremoto del 1906. Qui, finalmente, ecco il colpo di fortuna: viene assunto alla Bank of Italy, dove raggiunge in breve un'ottima posizione, tanto da progettare il sospirato matrimonio e il trasferimento definitivo sul suolo americano.
Ines, timida e riservata, lo aspetta a Firenze, ultima sede della sua famiglia d'origine, preparando già le carte per le nozze e i bauli per il lungo, periglioso viaggio in mare (la tragedia del Titanic, non dimentichiamolo, è cosa di pochi anni prima).
Ma la sorte ha in serbo per loro nuovi colpi di scena, tutt'altro che positivi. Scoppia infatti la Prima guerra mondiale, e mio nonno Mario -che potrebbe benissimo starsene tranquillo di là dall'Atlantico- decide invece di rientrare in Italia per difendere la patria, compiendo un gesto per cui non posso che andare orgogliosissima di lui, ma che gli costerà purtroppo la vita.
Non è l'artiglieria nemica a colpirlo in prima linea sul Carso, bensì un killer più subdolo ed infido: un'infezione polmonare contratta in trincea, nell'ultimo periodo del conflitto, lo ucciderà l'11 aprile del 1919, solo un mese dopo aver sposato -in condizioni di salute già precarie- mia nonna Ines, e probabilmente senza sapere che da quell'unione troppo breve e tormentata sarebbe nata, il 21 novembre successivo, una bambina, Luciana. Giusto un anno dopo la morte dell'amato fratello, a mio nonno Carlo, a Cagliari, nasce il terzo figlio, primo dei maschi: e quale nome imporre al piccolo se non quello del congiunto scomparso?
Siamo ormai nel primo dopoguerra, in un'Italia che sta per assistere all'ascesa del partito fascista, che conoscerà presto le ripercussioni della crisi del '29, che è ancora profondamente divisa da diversi dialetti, squilibri sociali, scarse vie di comunicazione. Ines e Adalgisa, sorelle e contemporaneamente cognate, vivono l'una a Firenze, l'altra a Cagliari: ma in quegli anni la distanza equivale a quella odierna tra l'Europa e l'Australia, e gli incontri tra loro sono forzatamente assai rari, cosicchè il giovane Mario conosce la cuginetta Luciana solo attraverso una fotografia sfuocata giunta per posta, nella quale risalta comunque una certa innegabile bellezza.
Intanto nuove, terribili nubi minacciose si addensano sui cieli della penisola, presagio di ulteriori sofferenze per i membri della mia avventurosa famiglia, separati fra isola e continente dalle onde del mare e da quelle, ben più insidiose, del destino...
(continua)
6 commenti:
Ma che bello..........
E' un romanzo. E poi hai origini sarde malandrina:) Ma lo sai che la Sardegna la ritengo la mia seconda patria?
Un tuffo nella storia e nel privato,affascinante.Adoro le storie di famiglia. Mi hai ricordato la Allende.
Ma l'ultima foto è tua? E' splendida.
Pure contessa, Roby...
Contessa, che è mai la vita?
E' l'ombra d'un sogno fuggente.
La favola breve è finita,
il vero immortale è l'amor.
Posso continuare a darti del tu (anzi del te, come dicono a Modena) o passo al lei, anzi al voi: "Gradite un cordiale?"
Meglio contessa che précieuse ridicule o femme savante e sì che la tua variegata cultura (benchè quasi sarda...) ti consentirebbe di erigere un monumento alla Dea Anobii, così venerata in rete. Continuo a preferire Afrodite.
Io invece sono di campagna perché modestamente lo nacqui. Mio bisnonno paterno, di nome Primo, aveva un fratello maggiore celebre in tutta la Val di Reno per la sua forza smisurata, difatti lo chiamavano Raflàn invece che Raffaele. Sfondò un armadio durante una piroetta di un ballo con la bisnonna Fiora. Il parroco deprecò il fatto durante la messa.
Il nonno Umberto suonò i piatti per trent'anni nella banda di Sasso (poi Sasso Marconi). Per questo due zii si chiamano Otello e Carmen, mentre il babbo Gino emigrò per trovar moglie verso le lontane Romagne. Difatti si sposò e dopo sette mesi nacqui io, singolare caso medico, un settimino di quasi quattro chili.
Ho fatto i miei conti, in un campo di grano che dirti non so, deve essere successo qualcosa nel mese d'agosto. Ormai si può dire.
Ho notato che voi aristocratici tendete a sposarvi fra parenti, mentre mi ricordo cosa mi disse la mamma riguardo una figlia di sua sorella che mi faceva il filo. E così anch'io sono emigrato verso le Romagne...
Vite durissime, Roby, però piene di coraggio, una virtù che non è vero che uno non si può dare. Qualche volte piene anche di fame, non appetito, proprio fame.
saludos y besos, Roby, gemellina nonché contessa
Solimano
La storia della tua famiglia passa anche per Torino...e poi per la Sardegna... Origini poi nobili. Finalmente ce l'hai rivelato.
La ricostruzione della storia di famiglia rivela sempre cose interessanti. Anch'io ho uno zio che is è dilettato a raccogliere storie e si è documenatto. Mi dice sempre di andare da lui, ma non abita proprio a Torino e non l'ho ancora fatto. Chissà che tu non mi sia di stimolo.
Come sempre splendide immagini,
Baci
Giulia
Cara Silvia, il paragone con la Allende mi inebria!!!!
L'ultima foto -così come le altre- non è mia, anche se la bambina ritratta assomiglia molto a immagini che ho di mia madre da piccola. Ma forse -chissà?- le bimbe dell'epoca si somogliavano tutte, vestite e pettinate allo stesso modo....
Caro Solimano, ebbene sì, nobile decaduta, ahimè lassa!!!! Gradirei un "voi" deferente, perdincibacco, ma mi abbasso volentieri al "tu" del popolo. Bel tipo doveva essere tuo nonno Raflàn, vigoroso e sanguigno: anche tu, ex-settimino gigante, sfondi gli armadi ballando?
Cara Giulia, vai subito a trovare tuo zio, e fatti raccontare tutto: ne vale senz'altro la pena!!!
Inchini ed ossequi
Roby
Ma come...continua...
Il tuo racconto m'aveva preso così tanto, che vederlo interrompersi così mi ha fatto lo stesso effetto di un giocattolo rubato da un altro bambino. E che si fa in queste circostanze? Da bambini si piange, disperati, ma io che indosso 50 anni - e non più cinque - posso solo aspettare, passando con più frequenza di prima. Un abbraccio.
Carla
Roby, le storie delle famiglie mi appassionano enormemente. La tua poi è particolarmente complessa e intrigante e siamo tutti qui con il fiato sospeso.
Non farci aspettare troppo.
Un bacione
H.
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