lunedì 11 agosto 2008

Farfalle e poesia


Salvador Dali: Paesaggio con farfalle, 1956



Farfalle e poesia
(Tre poesie di Guido Gozzano)

postato da Habanera



Del parnasso
Parnassus Apollo

Non sente la montagna chi non sente
questa farfalla, simbolo dell'Alpi...
Segantini pittore fu compagno
intimo del Parnasso. Tutta l'arte
del maestro non è che la montagna
intravista dall'ala trasparente...
Voi sorridete, incredula, scorrendo
l'ali chiare. Passate sui Papili,
le Pieridi, le Coliadi, l'Antocari,
cercate invano, sorridendo muta.
Ma il vostro riso incredulo s'arresta,
sostate appena sopra una farfalla
ignota e dite risoluta: - È questa!
Questa e non altra. Tolgo l'esemplare:
osservate la grazia! Col Papilio
e la Vanessa, è certo la farfalla
dei nostri climi più meravigliosa.
Ma pure al vostro sguardo di novizia
non è questa bellezza singolare?
Mentre pensate il volo del Papilio
sul trifoglio fiorito e la Vanessa
in larghe rote lente sulle ajole,
non tollerate il volo del Parnasso
in un campo, in un orto, in un giardino:
evocate un pendio di rododendri,
coronato d'abeti, e di nevai,
e la bella farfalla ecco s'adagia
sullo scenario, in armonia perfetta.
È giusto. Meditate l'ali tonde
(frastagli e dentature le sarebbero
d'impaccio contro i venti delle alture)
meditate quest'ali trasparenti,
lastre di ghiaccio lucide all'esterno,
nell'interno soffuse di nevischio,
gelide in vista tanto che vi sembra
di vederle squagliare a poco a poco;
spiccano sul candore alcune chiazze
vermiglie come fior di rododendro,
come stille di sangue sulla neve,
cerchiano l'ali zone bigio-nere
che tengono del musco e del macigno:
il corsaletto è fitto di pelurie
bianca, d'argento come il leontopodi
e l'antenne le zampe la proboscide
n'escono brevi come dalla giubba
folta d'un alpigiano freddoloso.

La rivedo con gioia ad ogni estate;
sfuggito all'afa cittadina, appena
giunto al rifugio sospirato, indago
con occhi inquieti lo scenario alpestre:
senza l'ospite candida le nevi
sarebbero per me senza commento.
Ma rade volte scende a valle. Giova
attenderla sull'orlo degli abissi,
fra gli alti cardi i tassi i rododendri.
In quel silenzio primo, intatto come
quando non era l'uomo ed il dolore,
ecco la bella principessa alpestre!
Giunge dall'alto scende con un volo
solenne e stanco, noto all'entomologo,
s'arresta sulle cuspidi dei cardi,
s'adonta di un erebia, d'un virgaurea,
suoi commensali sullo stesso fiore;
s'avvia, s'innalza, saggia il vento, scende,
vibra, si libra, s'equilibra, esplora
l'abisso, cade lungo le pareti
vertiginose ad ali tese: morta.
Dispare, appare sui macigni opposti,
dispare sul candore delle spume,
appare sopra il verde degli abeti,
dispare sul candore dei nevai,
appare, spare, minima... Si perde...

Apollo (Parnassius apollo)


Della cavolaia
Pieris brassicae

Se la Vanessa ed il Papilio sono
nobili forme alate e dànno immagine
d'un cavaliere e d'una principessa,
la Pieride comune fa pensare
una fantesca od una contadina.
È volgare, dal nome alla divisa
scialba, dal volo vagabondo al bruco
nero-verde, flagello delle ortaglie.
Ridotte queste a nuda nervatura,
i bruchi vanno su pei muri a mille,
fissano le crisalidi alle mensole,
ai capitelli, ai pepli delle statue,
curïose crisalidi, sorrette
alla vita da un filo e non appese,
angolari, sfuggevoli, aderenti,
concolori così col marmo e il muro
che lo sguardo le fissa e non le vede.
Se tutte si schiudessero, la Terra
sarebbe invasa d'ali senza fine.

La Cavolaia predilige gli orti,
l'attira il bianco delle case umane;
se scorge un muro, subito s'innalza,
lo valica, discende alla ricerca
di compagne festevoli ed ortaglie.
E l'istinto sovente la sospinge
nel cuor della città. Da primavera
a tardo autunno, giunge nelle vie.
E nulla è strano, come l'apparire,
dell'invïata candida degli orti
tra il rombo turbinoso cittadino.
Allora s'interrompe il ragionare
dell'amico loquace:-Una farfalla! –
Com'è giunta nel cuor della città?
Aveva la crisalide sui colli
oltre il fiume, nell'orto di una villa.
L'istinto delle razze numerose
sospinge la farfalla ad emigrare;
discese al piano, trasvolò sul fiume,
valicò gli edifici, immaginando
orti propizi e si trovò perduta,
prigioniera nel grande laberinto
di pietra che costrussero gli uomini.
Da ore ed ore, forse dal mattino,
s'aggira stanca per le vie diritte
dove non cresce un filo d'erba o un fiore.
Come si specchia nei diciottomila
occhi stupiti il turbinìo dell'uomo?
Forse a quei sensi minimi, la folla,
le case, i carri, quei corpi grandi
sono come la frana, il fuoco, l'acqua,
fenomeni malvagi da fuggirsi.
Fugge. L'attira un cespo semovente
di fiori finti, un cencio verde, azzurro,
si libra sulla folla, sull'intrico
metallico, tra il rombo e le faville,
e va senza riposo, un carro passa
e la travolge nella scia ventosa...
Con volo ravvivato dal terrore
cerca uno scampo in alto, sale obliqua
contro le case, attinge i tetti, il sole;
si ristora ad un cespo di geranii,
fugge lasciando un lembo d'ala a un mostro
tentacolare e candido: una mano;
vola sopra il deserto delle tegole
né più discende nelle vie profonde,
va tra la selva di colmigni spessi,
da tetto a tetto, va senza riposo.

Cavolaia maggiore (Pieris brassicae)


Dell'aurora
Anthocaris cardamines

Primavera per me non è la donna
botticelliana dell'Allegoria.
Primavera è per me questa farfalla
fatta di grazia e di fragilità!
Oggi, lungo il sentiero solatio
dove sosta la lepre alle vedette,
un orecchio diritto e l'altro floscio,
tra il grano verdazzurro, lungo il rivo
costellato di primule e d'anemoni,
tra il biancospino, che fiorisce appena,
ho rivisto l'Antòcari volare
e il cuore mi sobbalza nell'attesa
senza nome che tutte in me resuscita
le primavere dell'adolescenza...
Ma primavera non è giunta ancora.
È la quinta stagione. Un chiaro Marzo
canavesano, inverno già non più,
non primavera ancora. È l'anno vecchio
tinto a verde d'Enrico l'amarissimo.
Se cantano le allodole perdute
nella profonda cavità dei cieli,
non s'odono le rondini garrire;
lasciano appena il Delta o la Gran Sirte
o riposano a Cipro ovver vïaggiano
sul cordame d'un legno tunisino...
Ma l'Antòcari vola e il cuore esulta!
È la farfalla della novità,
la messaggera della Primavera,
la grazia mite, l'anima del Marzo.
Essa avviva la linfa nelle scorze,
il brusio, il ronzio, lo stridio,
risuscita l'incognito indistinto.

La messaggera della Primavera
è timida, sfuggevole alle dita,
coscïente di sua fragilità;
quasi non vola, s'abbandona al vento
e visita la primula e l'anemone,
la pervinca, il galanto, il bucaneve;
il vento marzolino fa tremare
petali ed ali dello stesso tremito
e l'occhio mal discerne la farfalla:
l'ali minori, marezzate in verde,
chiudono come un calice l'insetto.
Insetti e fiori; mimi scaltri, come
v'accordaste nei tempi delle origini?
Le pagine di pietra dissepolte
attestano che i fiori precedettero
gl'insetti sulla terra: fu l'anemone
che alla farfalla ragionò così:
"Sorella senza stelo, come sei fragile
d'ali e debole di volo! Salvati
dal ramarro e dalla passera:
rivestiti di me, tingiti in verde
ai lati, in bianco a mezzo, in fulvo a sommo,
e con l'antenne simula i pistilli!".
E il fior primaverile alla farfalla
primaverile diede i suoi colori:
dolce alleato nella vita breve...
E la caduca musa marzolina
sa che deve sparire con l'anemone,
sparire prima della Primavera...
Visita i fiori, intepidisce il regno
per le grandi farfalle che verranno,
poi, giunta al varco della vita breve,
congeda il Marzo, volgesi all'Aprile:
Aprile! Marzo andò: tu puoi venire!...


Aurora (Anthocharis cardamines)


5 commenti:

Giuliano ha detto...

Alcune delle nostre farfalle più belle hanno il bruco che vive sulle ortiche.
Io ci penso tutte le volte che vedo qualcuno che butta il diserbante, e quando arriva la primavera e vedo spuntare ancora qualche Vanessa, tiro un sospiro di sollievo.
(però non vale...e il mio Entomologo, cosa farà adesso? Era la puntata dopo Conrad, già pronta in tipografia).

mazapegul ha detto...

Habanera,
ne avevo sentito parlare, di queste poesie entomologiche di Gozzano, ma non le avevo mai lette: grazie per l'aiuto a colmare la lacuna (adesso c'è da colmare quella strettamente entomologica).
Letteratura e insetti: ci sono diversi casi di contatto. Oltre a Gozzano, Calvino e Nabokov, quantomeno. Il romanziere, a volte anche il poeta, ha del resto spesso qualcosa di simile all'entomologo quando scruta i suoi personaggi.
Màz

Solimano ha detto...

Trovo meravigliose queste poesie di Guido Gozzano. Non è forse il poeta che ammiro di più, ma è sicuramente quello che amo di più: come modo, come finezza, come amorosa ironia, come gioco metrico impeccabile, come persona, come sguardo sulla vita, impermanente perciò stesso bellissima.
Queste poesie di Gozzano sono la risposta, autorevole perché piana, a chi crede che il darwinismo abbia ucciso la bellezza del rapporto con la natura. Il dialogo del fiore e della farfalla è del tutto inventato ma dal punto di vista dell'evoluzione della specie verissimo. E l'ambientazione non è generica, posti ben precisi che lui conosce benissimo, le ha viste, queste farfalle.
Ho un limite: non so di entomologia e di floricultura quello che dovrei sapere, perché in quello che so bene (cavolaia, cardi, primule, anemoni, lepri, gerani etc), l'apprezzamento cresce ancora. Che dire? Proverò a scrivere un Livre mon ami dedicato a Guido Gozzano, ma dirò poche cose. Che parli lui, che non annoia e non stanca mai.

grazie Habanera e saludos
Solimano
P.S. E tu, Giuliano, dagli sotto con l'Entomologo e Gozzano, che lo spazio ce l'hai.

Giuliano ha detto...

L'immortalità: morte e rinascita.
La crisalide sembra secca e morta, e invece ne nasce qualcosa non solo di vivo, ma anche di completamente diverso da quello che c'era prima.
E' questo il fascino degli insetti, e i nostri antenati ne erano rimasti molto colpiti: non tutti gli insetti hanno la metamorfosi completa (le cavallette non hanno il bruco, nascono cavallettine e poi crescono), ma quelli col bruco - o la larva - sono spettacolari.
Lo scarabeo sacro degli egizi, per esempio, nasce larva bianca e poi rinasce Scarabeo, e vola.
C'è chi suggerisce: forse la stessa cosa accade anche a noi, qui intorno, e non ce ne rendiamo conto.

Habanera ha detto...

Solimano, avevo qualche sospetto che ti piacessero queste poesie. Infatti (perchè non dirlo?) le ho scoperte sulla rubrica "La Settimana in rete" che un tempo curavi sul sito di Arengario.
Le ho rilette con attenzione, le ho sentite, le ho fatte mie ed ora eccole qui, per il piacere anche dei lettori di questo blog.

Grazie
H.