martedì 15 aprile 2008

Perché non vado più a teatro (n.3)




Perché non vado più a teatro, n.3

di Giuliano




(...) Certo, adesso mi sento più libero, la censura non mi perseguita. Semmai è la questione finanziaria a tormentarmi. Ma questo avveniva anche prima, e gli attori sono sempre mal pagati. Ora però c'è una prospettiva: se decide di farsi una vita qui, la giovane generazione si impegna. E si può sperare che i migliori ce la faranno, se non si comincerà di nuovo a sfruttare il patriottismo, a esaltare presunti meriti nazionali. Se si rimetteranno in circolazione queste vecchie, logore lusinghe per la parte più arretrata della società, non vedo niente di buono per l'immediato. (...) Penso che in Russia il teatro neppure ieri abbia occupato un posto centrale dato che, come disse Lenin, "l'arte principale è il cinematografo" ; e adesso si può dire che l'arte principale è la televisione. (...) Il teatro era un'arte d'élite, e tale è rimasto. Anzi, ha cominciato ad occupare un posto ancora più modesto in quel mostruoso flusso d'informazione che ogni giorno si riversa sugli infelici cittadini della nostra piccola terra in perpetuo conflitto. (...) Sta avvenendo un intorbidimento delle menti che minaccia di rovinare la civiltà. Cala il livello delle conoscenze, e avviene un imbarbarimento del genere umano. Anche il teatro suscita allarme. Si comincia a perdere in vari campi ciò che si chiama professionalità, mestiere. L'impoverimento delle anime è un processo più complesso, mentre la perdita di professionalità comincia già ad essere un pericolo.
(il regista russo Jurij Ljubimov, da un'intervista al Corriere della Sera del 20.12.2002)


Che bella cosa che è stata, il Premio Nobel a Dario Fo. Non se ne poteva più dei nostri poeti, spesso sedicenti poeti. Intendiamoci, ne avevamo ancora di grandi, sei anni fa: ma finalmente il Premio Letterario più importante del mondo è andato a un attore/autore, quasi come se avessero premiato Molière. Peccato che, vent'anni fa, a Stoccolma non abbiano avuto lo stesso coraggio premiando Eduardo; e peccato ancora che, in tempi recenti, non abbiano premiato Italo Calvino e Primo Levi (peccato soprattutto per Levi.: ma questo è un altro discorso). Ma, dovendo scegliere un italiano, Dario Fo era quanto di meglio si potesse scegliere. Si è scelta la vita, l'allegria, l'impegno, l'osservazione della vita quotidiana, il recupero del teatro popolare. E' stata una ventata d'aria fresca, e una colossale risata alla faccia della destra più ammuffita e livorosa. Peccato che sia passata presto...
(continua)

6 dicembre 2004




6 commenti:

Giuliano ha detto...

Ljubimov veniva in Italia nel '79... Quasi trent'anni fa.
Che pazienza, cara Habanera! Spero di non farti perdere troppi lettori.

Solimano ha detto...

Che poi il teatro sia un'arte di élite già da molti anni non è più tanto vero. Basta guardare i programmi su abbonamento dei principali teatri di prosa di Milano, in cui ce ne sono diversi, ed alcuno molto capiente, come il Lirico, il Manzoni, lo Smeraldo. In genere sono molto affollati, è rimasta la tradizione delle coppie abbienti che fanno l'abbonamento, ma si tratta operazioni a mezza strada fra teatro, cinema, musiche (e soprattutto televisione): fanno di tutto piuttosto mediocremente, ma con tanti lustrini e pailettes. Ma un buon allestimento di Wilde e di Feydeau manco sognarselo. Sono piuttosto favorevole alle commedie, ma Wilde e Feydeau richiedono un livello di professionalità molto superiore a quello delle compagnie odierne.
Il tatro dovrebbe essere come lo scrivere: a diposizione di tutti e gratis. Nelle piazze, sulle spiaggie, per le strade. Davanti, il cappello rovesciato per raccogliere le monete. Poi da cosa nasce cose. Sempre meglio di adesso, in cui c'è un teatro televisivo, ma senza la serietà del romanzo sceneggiato, oppure scantinati o soffitte che raccolgono quattro gatti per spettacolini magari ambiziosi, ma in genere brutti.

saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

Caro Solimano, sono assolutamente d'accordo. Già lo diceva il buon Buazzelli tanti anni fa...
Penso che il teatro non morirà mai. Morirà quello che sta troppo al chiuso, o forse è già morto ma non se ne è accorto nessuno: "il Re muore" di Jonesco, o "Finale di partita" di Beckett avevano già parlato con molta più chiarezza degli oracoli.

Habanera ha detto...

Giuliano, tu non mi (ci) farai mai perdere lettori, semmai ce ne fai guadagnare.
Forse ancora non ti rendi conto di quanto circolino e siano richieste le tue cose.
La cosa non mi sorprende affatto, piuttosto mi sorprenderebbe il contrario.

Ciao, carissimo
H.

mazapegul ha detto...

Quand'ero al liceo andavo al Piccolo a vedermi gli spettacoli di Strehler. Mi piacevano, ma non mi sorprendevano: erano tutto il teatro che conoscevo. Solo piu' tardi mi accorsi dell'importanza di quello che avevo visto senza rendermene conto, e che avevo come perduto.
(Fo dal vivo lo vidi una volta, con Storia della Tigre, alla Palazzina Liberty. Che attore unico! Che personalita' completa e appassionata di teatrante e studioso e politico militante! Un Nobel veramente meritato!)

Giuliano ha detto...

Andavi al Piccolo? Caspita, allora magari ci siamo visti.
Tu pensa che Solimano si ricorda di me al concerto di Hakan Hagegaard alla Scala (ma si confonde, all'epoca avevo baffi e occhiali per non farmi riconoscere).