martedì 26 febbraio 2008

Quinto potere nel medioevo




Quinto potere nel medioevo
(le opinioni prima dei fatti)

di Maria Teresa Fumagalli




Secoli prima della stampa (e naturalmente della radio, della televisione, di internet) il quinto potere , quello della comunicazione esisteva già (Briggs e Burke) e si presentava con alcune caratteristiche per noi moderni interessanti. Va detto subito che sulla informazione dei fatti prevaleva l’interesse a formare una opinione e a creare consenso. Esercitato dai predicatori domenicani e francescani prevalentemente sulla piazza davanti alla cattedrale, era un potere fatto di parole non scritte ma dette e recitate con arte sottile, solo apparentemente effimero, fortemente organizzato, sapiente e attento alle regole della persuasione.

Era la Chiesa di Roma a detenerlo in modo prevalente ed efficace: suoi erano gli esperti della cultura e della comunicazione, studiata anche sugli autori antichi di retorica. I signori delle città e i sovrani se ne avvalevano in forma mediata, quando gli scopi della politica laica e ecclesiastica coincidevano (accadeva più frequentemente di quanto non si creda). In caso contrario i politici laici cercavano di ostacolare il potere dei predicatori impedendo loro di parlare, ma molte volte erano loro a dover battere in ritirata.
La vittoria nella contesa non era in quel tempo decisa a priori perché entrambi i poteri erano il più delle volte sufficientemente bilanciati e l’alleanza fra autorità cittadine e ecclesiastiche si reggeva bene.

Non sto parlando di prediche edificanti di argomento religioso, di sermoni che indicavano ai fedeli la via della salvezza eterna o miravano a irrobustire la fede, ma di quei discorsi sempre tenuti dai religiosi ma mirati a disegnare un modello di comportamento collettivo per i cittadini e i sudditi, entrando direttamente nella vita politica della comunità, cercando di formare opinioni su temi civili o creare consensi su un programma economico (Muzzarelli).



Firenze 1493: i Medici, da sempre favorevoli e anche personalmente amici degli usurai ebrei, tentano di impedire la predicazione di Bernardino da Feltre che “haveva meravigliosa forza nel suo dire”. Il francescano in quegli anni girava con successo le piazze d’Italia per convincere i il popolo dei Comuni e delle Signorie della utilità di un istituto cittadino nuovo, il Monte di Pietà , destinato a far concorrenza all’attività degli ebrei con più favorevoli tassi di interesse. Di fronte al chiassoso malumore del popolo privato di uno spettacolo appassionante e tanto atteso, Piero de’ Medici capitola, preferisce correre il rischio di dispiacere agli amici ebrei e richiama il predicatore.

A Ferrara le autorità della città, per organizzare una strategia in sostegno alle leggi suntuarie, chiedono l’aiuto di Giovanni da Capestrano altra celebrità della comunicazione.
La politica della città e l’interesse spirituale della chiesa su quel tema andavano completamente d’accordo. Il predicatore condannava come peccato la vanità delle frivole donne ferraresi, mentre le autorità cittadine erano seriamente preoccupate da un altro aspetto del fenomeno, il dispendio e la erosione dei patrimoni familiari dilapidati in una gara rovinosa per segnalare con vesti lussuose e gioielli la posizione sociale delle singole famiglie. La vanità non solo sottraeva ricchezza ai patrimoni famigliari causando fallimenti, ma soprattutto disperdeva l’energia indispensabile agli investimenti collettivi per le imprese economiche: non solo i privati ma anche la città ne veniva seriamente danneggiata.

Da una parte e dall’altra dunque si condannavano e ridicolizzavano i “traini delle donne”, ossia gli strascichi lunghissimi dei mantelli che spazzavano le piazze cittadine durante lo “struscio”, i gioielli vistosi (ma non il classico filo di perle), l’uso di stoffe damascate e intessute d’oro , i velluti costosi, l’esibizione di stravaganti ornamenti di piume esotiche, le maniche troppo gonfie, lo spreco di porpora.



Una predica memorabile di Bernardino da Siena è dedicata a esaminare i caratteri della predicazione in se stessa e la sua utilità per il bonum commune della città: per esser efficace - dice Bernardino - deve tener presenti tre elementi, il dicitore, il tema e l’ uditore. Il discorso ( in lingua volgare ) deve essere “chiarozzo chiarozzo” per essere compreso da tutti, persino dalle donne “illitteratae” per eccellenza, attento ai gesti come alle parole; le dimostrazioni illuminanti e “gagliarde”, gli esempi coinvolgenti e capaci di risvegliare le menti intorpidite dalla fatica delle ore di attesa al sole o al freddo. Sì, perché d’estate e d’inverno predicatori così appassionanti richiamavano donne e uomini che uscivano anche alle cinque del mattino per occupare un posto (in piedi) sulla piazza, resistendo fino a quattro o cinque ore di predica, alla quale intervenivano talvolta con grida di entusiasmo. Il successo era enorme e fatte le proporzioni ad ascoltare correva un numero di persone paragonabile a quello delle grandi manifestazioni politiche di oggi . E alla fine non c’erano concerti.

“Insino alla predica niuno apra la buttiga
” invitava a volte il bando cittadino. A chi obbiettava che così si perdeva il guadagno il predicatore replicava usando il medesimo linguaggio “economico”: ascoltare la predica comporta un guadagno, la vita eterna si acquista come una merce, dare ai poveri è come “prestare a usura a Dio in quanto rende più di mille per uno” .

Il lessico è dunque quello del mondo degli affari (Todeschini), vengono lodati gli investimenti e condannato il capitale sterile chiuso nei forzieri come nella parabola del Vangelo, si paragona il Cristo a un buon mercante e il predicatore a un sensale, il patrimonio finanziario a quello spirituale, il bene comune della città ben governata alla ricchezza spirituale dei fedeli riuniti nella chiesa.

Parole così concrete e usuali nella vita quotidiana facilitavano la comprensione degli ascoltatori e facevano “ più ampia la mente”. Va detto che per attirare le donne i predicatori inserivano nel discorso altri esempi più casalinghi, come quando affermavano che la predica ben fatta era simile a un arrosto cotto al punto giusto.


Tre libri da leggere:

A.Briggs e p. Burke , Storia sociale dei media da Gutenberg a Internet, Mulino 2002

G. Muzzarelli, Pescatori di uomini . Piazze alla fine del Medioevo , Mulino 2005

G.Todeschini , Ricchezza francescana . Dalla povertà volontaria alla società di mercato , Mulino 2004



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3 commenti:

Roby ha detto...

AVVISO:
Se oggi ho combinato qualche irrimediabile pasticcio sul lavoro, la colpa è tutta di Habanera e di Mariateresa Fumagalli: ma era impossibile resistere alla tentazione di leggere e rileggere più volte questa BELLEZZA di post!!!!

Roby

Solimano ha detto...

Ho un libro, da qualche parte, intitolato "Le parole antiche". Un linguista insigne, di cui non ricordo il nome, esemplifica cento parole oggi desuete. Se lo ritrovo, ci scrivo un post o due: era troppo forte, certe cose si sono perse, con le parole che le accompagnavamo. Per fare un esempio sul post della Fumagalli, vuoi mettere che in una serrata negoziazione di tipo amoroso lui dica a lei: "Ti parlo chiarozzo, mo' ti fo una dimostrazione gagliarda!" Secondo me sarebbe un parlare foriero di buoni accadimenti per amendue, già nel tono e nelle parole è presente un modus operandi assai chiarozzo.

saludos
Solimano

Roby ha detto...

Caro Sol, lo tuo scritto m'induce a rimembrare il tempo in cui, trovandoci per fini archeologici in terra egiziaca, io e talune mie sodali -onde evitare che la manovalanza del posto, già avvezza ad intender l'italica lingua, riuscisse ad afferrare il senso della nostra loquela- ci esprimevamo in modo sembiante a quanto fin qui da me fatto. La qual cosa, a onor del vero, procuravaci gran diletto e grasse risate!

Credimi sempre tua affezionata

Roby