mercoledì 20 febbraio 2008

La Cappella Sansevero a Napoli


Antonio Corradini: La Pudicizia (part)


La Cappella Sansevero a Napoli

di Primo Casalini



L'anno da cui partire è il 1590. A Palazzo Sangro succedono due cose. La prima è che nel palazzo avviene un terribile delitto: Gesualdo, principe di Venosa uccide la moglie Maria d'Avalos con l'amante Fabrizio Carafa. Maria era famosa per la bellezza, ed aveva sposato Gesualdo dopo essere rimasta vedova due volte. Gesualdo era anche un geniale madrigalista, oggi paragonato a Claudio Monteverdi ed a Luca Marenzio. Stette lontano da Napoli per diverso tempo, ma non perché temesse la giustizia pubblica; temeva piuttosto la vendetta delle famiglie degli assassinati. La seconda cosa accadde poco dopo: Giovan Francesco di Sangro, ristabilitosi da una malattia quasi mortale, decide di erigere "una picciola cappella" dedicata alla Vergine come adempimento di un voto fatto durante la malattia, ma forse anche come espiazione del fatto di sangue avvenuto nel suo palazzo. Più di centocinquanta anni dopo, Raimondo di Sangro, principe di Sansevero, inizia grandi lavori di restauro e di ampliamento della Cappella. Raimondo era al tempo stesso Gentiluomo di Camera di Carlo di Borbone, Membro dell'Ordine dei Cavalieri di San Gennaro, Accademico della Crusca e Gran Maestro della Loggia Massonica. Inoltre giravano voci di sue propensioni per l'alchimia e l'esoterismo. Ed entra in scena Antonio Corradini, scultore veneto ultraottantenne, molto apprezzato in Italia e fuori, amico di Raimondo e massone pure lui. Attorno al 1750, nel poco tempo che gli resta, Corradini realizza i modelli in terracotta delle statue e degli apparati, tutto il progetto insomma, d'accordo con Raimondo. E qui c'è una cosa singolare: Raimondo vuole dedicare le prime sculture ai suoi genitori, che per ragioni diverse praticamente non aveva conosciuto. La madre, perchè morta giovanissima, ed il padre perché era partito per lunghi viaggi affidando il bambino ai familiari, ne aveva combinato tante, e si era poi ritirato in un monastero negli ultimi anni.

Così sono nate la Pudicizia, eseguita dal Corradini, ed il Disinganno, eseguito dal genovese Queirolo, su idea del Corradini, come tutto il resto. Il programma iconografico di Raimondo contempla anche la Sincerità, il Decoro e... la Soavità del giogo maritale! La Pudicizia ed il Disinganno sono opere straordinarie; l'una per come è reso nel marmo il velo che svela, l'altra per la rete degli inganni che avvolge il personaggio e da cui un genio alato lo sta liberando. Le due statue sono affiancate da lapidi: una, quella della madre, è volutamente spezzata. Ma la statua in assoluto più esaltata è quella del Cristo disteso e velato, eseguito da uno scultore napoletano: Giuseppe Sanmartino. Raimondo preferiva rivolgersi a scultori estranei a Napoli, e ciò dava fastidio all'ambiente artistico locale, sempre molto geloso: già nel '600 Guido Reni ed il Domenichino dovettero scappare da Napoli per le minacce ricevute per la commissione degli affreschi nella cappella di San Gennaro. Ma in quegli anni, a Palazzo Sangro lavorava anche un medico palermitano: le due Macchine Anatomiche complete di vasi sanguigni e di dettagli di cui tacere è bello, sono conservate in una stanza non lontana: il popolo diceva che erano i corpi di due servitori trucidati da Raimondo. Viene in mente il delitto iniziale, quello del 1590. Dopo il 1766, in cui la Cappella fu aperta ai visitatori, qui capitò il Marchese de Sade, curioso di tutto ciò che avesse in sè qualcosa di diabolico.

Antonio Corradini: La Pudicizia

Torniamo alla Pudicizia ed al Disinganno, che è meglio. E' raro trovare un programma iconografico al tempo stesso così semplice e così acuto, e guardare solo le statue è limitativo: tutto l'apparato scenografico (che è una parola piccola), è da gran teatro del mondo, a partire dalle lapidi sino al commesso dei marmi nei pavimenti, negli altari e nei basamenti. Al di là del valore degli artisti, specie del Corradini, è Raimondo che fa un monumento a sè stesso, devoto di San Gennaro e massone, appassionato di scienza, ma anche di alchimia, illuminista ed oscurantista. Il contratto stipulato col Queirolo è una specie di plagio, in cui l'artista non ha nessun diritto: "a tutto piacimento, genio e gusto d'esso Signor Principe, di non poter lavorare per nessun'altra persona, e collo stretto ligame di non potersi licenziare...". Una schiavitù, praticamente. Va aggiunto, riguardo al Cristo velato, che fin da quando le opere furono esposte per la prima volta si diffuse la dicerìa che l'effetto velo che svela fosse stato ottenuto non con una finissima lavorazione del marmo, ma mediante procedimenti alchemici (in realtà chimici) che avevano marmorizzato della stoffa precedentemente disposta in modo appropriato sulla statua sottostante. Ed in alcuni siti sono riportate le intese fra Raimondo e lo scultore Sanmartino, comprese precise disposizioni tecniche, ritrovate da Clara Miccinelli in un documento dell'Archivio Notarile di Napoli, rogato in data 25 novembre 1752 dal notaro Liborio Scala, e confermate in altri documenti di collezioni private. Riporto qui la ricetta:
"Calcina viva nuova 10 libbre, acqua barilli 4, carbone di frassino. Covri la grata della fornace co' carboni accesi a fiamma di brace; con ausilio di mantici a basso vento. Cala il Modello da covrire in una vasca ammattonata; indi covrilo con velo sottilissimo di spezial tessuto bagnato con acqua e Calcina. Modella le forme e gitta lentamente l'acqua e la Calcina Misturate. Per l'esecuzione: soffia leve co' mantici i vapori esalati dalla brace nella vasca sotto il liquido composito. Per quattro dì ripeti l'Opera rinnovando l'acqua e la Calcina. Con Macchina preparata alla bisogna Leva il Modello e deponilo sul piano di lavoro, acciocché il rifinitore Lavori d'acconcia Arte. Sarà il velo come di marmo divenuto al Naturale e il Sembiante del modello Trasparire".
Il Sanmartino, inoltre, si impegnava a non rivelare il procedimento, e Raimondo, bontà sua, gli concedeva di attribuirsi l'esecuzione dell'intera opera. Se così fosse, presumibilmente il procedimento sarebbe stato usato anche per la Pudicizia ed il Disinganno. Che dire? Sembra impossibile, ma da Raimondo di Sangro ci si poteva aspettare anche questo. Forse una analisi chimica approfondita (ma non distruttiva...) dei materiali potrebbe dirci una parola quasi definitiva su ciò che è realmente accaduto. Ma anche senza appoggiarsi ad ipotesi e ad illazioni più o meno fondate, è certo che nella Napoli del '700 era possibile giungere ad una sintesi improbabile ma definitiva: quella della Pudicizia, del Disinganno e del Cristo velato.

Giuseppe Sanmartino: Il Cristo velato


P.S. Ho pubblicato per la prima volta questo testo nei Bei Momenti il 25 ottobre 2003. Qui l'ho rivisto in parte. Le immagini a fianco del testo sono un particolare della Pudicizia e la statua del Disinganno del Queirolo. Consiglio di cliccare tutte le immagini per apprezzarne meglio i particolari.

7 commenti:

Giuliano ha detto...

Ohilà! Ecco un post da ritagliare e incorniciare. (ma come si fa, su internet?)
Grazie Ingegnere!

mazapegul ha detto...

Giuliano, quando trovi il modo, dimmelo, che incornicio pure io. Le macchine anatomiche sono un miracolo di complessità: qualcuno ne ha mai studiato la veridicità?
Bravo Solì!

Solimano ha detto...

E comunque rappresentare in quel modo la Signora Pudicizia la dice lunga su Raimondo di Sangro, specie considerato che il monumento era dedicato alla sua mamma che non aveva mai conosciuto. Trovo folgorante l'idea della lapide spezzata, ma in modo tale che sia tutta leggibile. Questo si muoveva sul crinale fra alchimia e chimica, fra astrologia ed astronomia, fra medicina e magia, chissà che soggetto era il medico palermitano che viveva a Palazzo Sangro.
E lor due signori, Giuliano e Mazapegul, quand'è che pubblicano cose loro in codesto bel posto? Salvo naturalmente l'indispensabile approvazione di Habanera, la nostra Contessa Maffei...

grazie e saludos
Solimano

mazapegul ha detto...

Caro Suleyman,
quando c'era ulivoselvatico buttavo tutto lì come in un baule, secondo la filosofia del sito, da cui si poteva liberamente saccheggiare. Col nonblog di M.mme Habanera come si fa? Si scrive e si manda?
Al momento non ho nulla di nuovo, comunque. Posso mettermi in atteggiamento più ricettivo verso i pensieri e trovare qualcosa da scrivere. O posso rimontare e riciclare qualche ricordo d'infanzia (ne avevo messi diversi su sl).
Ciao,
e ancora complimenti.
Màz

Solimano ha detto...

Non c'è fretta, a mio parere, però, ad esempio, la matematica è ricca di argomenti di ogni tipo (e di personaggi) che se descritti in modo acconcio sarebbero gradevoli ed utili persino ai letterati, persone oltremisura sofistiche, ma anche curiose. Senza progetti strutturati, ma con leggerezza e serietà. La divulgazione acculturata serve eccome, ci si divertirebbe anche nella ricerca di immagini singolari.

saludos
Solimano
P.S. E rinfrescherei un po' le mie appannate nozioni...

Laura ha detto...

Post folgorante, caro Solimano. Un Gran Bel Momento.
I miei complimenti.

Un caro saluto
Laura

Habanera ha detto...

Solimano il Magnifico ha colpito ancora e a nulla vale che si nasconda sotto lo pseudonimo di Primo Casalini, lo abbiamo riconosciuto tutti.
La "Contessa Maffei" legge compiaciuta il bel post e ringrazia.
Colgo l'occassione per salutare anche Giuliano, Mazapegul e Laura che ho visto transitare di qui.
I pasticcini ed il tè sono a vostra disposizione, servitevi liberamente e tornate quando volete, siete i benvenuti.
H.