mercoledì 23 gennaio 2008

Lo zio Podger appende un quadro




Lo zio Podger appende un quadro

Jerome Klapka Jerome


Non si è mai visto un trambusto come quello che accadeva in casa di mio zio Podger quando si disponeva a eseguire qualche lavoro domestico. Per esempio, c'era un quadro, arrivato fresco dal corniciaio, ritto contro una parete della sala da pranzo, in attesa che qualcuno lo appendesse; la zia Podger domandava che cosa si doveva fare di quel quadro e lo zio Podger rispondeva:
« Oh, lascia fare a me. Nessuno si preoccupi. Nessuno. Ci penso io. »
Allora si toglieva la giacca e cominciava. Mandava la domestica a comprare sei pence di chiodi, poi la faceva raggiungere da uno dei ragazzi per dirle quanto dovevano essere lunghi; e da quel momento, a poco a poco, mobilitava tutta la famiglia.
« Tu vammi a prendere il martello, Will » gridava « e tu portami la riga, Tom; mi occorrerà una scaletta, e sarà meglio anche portarmi una sedia di cucina; ehi Jim, corri dal signor Goggles e digli: "Il babbo le manda tanti saluti e spera che stia meglio della sua gamba e dice se può prestargli la livella". Tu, Maria, non te ne andare, perchè avrò bisogno di qualcuno che mi regga il lume; e quando la ragazza ritorna, bisognerà che esca di nuovo a prendere un pezzo di cordone da quadri; Tom ! dov'è Tom ?... Tom vieni qui; tu mi porgerai il quadro. »
Allora lo zio sollevava il quadro, se lo lasciava sfuggire di mano e il quadro usciva dalla cornice; lui tentava di salvare il vetro e si tagliava un dito; dopo di che si metteva a saltellare per la stanza, alla ricerca del proprio fazzoletto. Non riusciva a trovare il fazzoletto perchè era nella tasca della giacca che si era tolto e lui non sapeva dove l'aveva messa e tutta la famiglia doveva sospendere la ricerca degli utensili per mettersi alla caccia della giacca; intanto lui continuava a girare come una mosca senza testa, ostacolando le ricerche.
« Insomma, non c'è proprio nessuno in tutta la casa che sappia dov'è la mia giacca ? Non ho mai visto gente simile in vita mia, parola d'onore. Siete in sei e non riuscite a trovare la giacca che mi sono tolto appena cinque minuti fa. Roba da matti....»
In quel momento si alzava dalla seggiola su cui, frattanto, si era lasciato cadere, e scopriva di essere stato seduto proprio sulla giacca.
« Ormai potete smettere di cercarla ! » gridava allora « L'ho trovata da solo. Se aspettavo che me la trovaste voialtri, tanto valeva che mi rivolgessi al gatto ! »
Quando poi si era sprecata mezz'ora per medicargli il dito, si era provveduto un vetro nuovo, e gli utensili, la scaletta, la seggiola e la candela erano stati portati in sala, lo zio Podger faceva un altro tentativo, mentre tutta la famiglia, compresa la cameriera e la donna di fatica, gli formava attorno un semicerchio, pronta ad aiutare. Due persone dovevano tener ferma la sedia, un'altra doveva aiutarlo a salirci sopra e dargli una mano per stare in equilibrio, una quarta gli porgeva il chiodo, una quinta il martello, e lui prendeva il chiodo e lo lasciava cadere.
« Ecco ! » Diceva in tono esulcerato « adesso, se n'è andato il chiodo. »
Noi dovevamo inginocchiarci tutti per esplorare il pavimento e cercare il chiodo, mentre lo zio brontolava e domandava se lo avremmo costretto a stare lassù tutta la sera.
Finalmente si trovava il chiodo, ma intanto lui aveva perso il martello.
« Dov'è il martello ? Dove ho cacciato il martello ? Accidenti, ve ne state lì in sette, a bocca aperta, e non sapete dove ho cacciato il martello ! »
Si trovava il martello, ma lui intanto aveva perso di vista il segno che aveva fatto sulla parete per piantarci il chiodo; a uno a uno salivamo tutti accanto a lui, sulla sedia, per vedere se ci riusciva di trovarlo: ognuno lo scopriva in un posto diverso, e lo zio ci dava degli imbecilli e ci ordinava di scendere. Prendeva la riga, misurava daccapo, constatava che il chiodo doveva distare dall'angolo la metà di settantacinque centimetri e sette millimetri, tentava di fare il calcolo a memoria e andava fuori dai gangheri.
Ognuno di noi allora tentava di fare lo stesso calcolo a mente, ma tutti arrivavamo a un risultato diverso e ci deridevamo a vicenda. Nel trambusto generale ci si dimenticava del numero originale e lo zio Podger doveva riprendere la misura. Questa volta si serviva di un pezzo di spago, ma al momento critico, da quel vecchio tonto che era, si sporgeva dalla sedia a un angolo di quarantacinque gradi e tentava di raggiungere con la mano un punto che era almeno una spanna più in là del massimo a cui poteva arrivare, lo spago gli sfuggiva dalle dita e lui piombava sul pianoforte e produceva un efficace effetto musicale, colpendo i tasti simultaneamente con la testa e col corpo. La zia Maria diceva che non poteva permettere ai bambini di rimanere ad ascoltare il linguaggio dello zio Podger.
Finalmente lo zio riusciva a fissare di nuovo il punto dove andava piantato il chiodo, vi appoggiava il punto del chiodo con la sinistra e prendeva il martello con la destra, ma al primo colpo si schiacciava il pollice, dopo di che, con un grido di dolore, lasciava cadere il martello sui piedi di qualcuno.
La zia Maria osservava blandamente che se un'altra volta lo zio Podger si fosse sognato di piantare un chiodo nel muro, lei si augurava che la preavvisasse, dandole il tempo di prendere le sue misure per andare a passare una settimana con sua madre, intanto che si compiva l'impresa.
« Oh, voialtre donne fate sempre un gran cancan per un nonnulla » ribatteva lo zio Podger riprendendosi. « A me piace tanto fare qualche lavoretto in casa».
Poi compiva un altro tentativo e, al secondo colpo, il chiodo penetrava tutto intero nell'intonaco e la testa del martello gli andava dietro per metà, cosicchè lo zio Podger veniva proiettato contro il muro con una forza sufficiente ad appiattirgli il naso.
Naturalmente, dovevamo rimetterci alla ricerca della riga e dello spago, e lui faceva un altro buco; verso la mezzanotte il quadro era attaccato, storto e malsicuro, mentre la parete per qualche metro all'intorno aveva l'aria di essere stata grattata con un rastrello; e tutti eravamo stanchi morti, depressi...tutti, ad eccezione dello zio Podger.
« Ecco fatto ! » esclamava, saltando pesantemente dalla sedia sui calli della donna di fatica, e osservando la devastazione compiuta con palese orgoglio. «Diamine, tanti altri avrebbero chiamato un operaio per fare un lavoretto di questo genere ! »

(da Tre uomini in barca)

Jerome K. Jerome e il suo cane

4 commenti:

Habanera ha detto...

Caro, vecchio Jerome K. Jerome. Tre uomini in barca (per non parlare del cane) l'ho letto da bambina e mi era piaciuto tanto che subito dopo ho voluto leggere anche Tre uomini a zonzo ma già non era più la stessa cosa.
Hai avuto una splendida idea, Roby!

Un bacione
H.

mazapegul ha detto...

Mio padre ci lesse Tre Uomini in Barca quando eravamo bambini: lui leggeva e noi ci scompisciavamo dal ridere. L'avventura dello zio Podger col quadro era uno dei nostri preferiti e glielo facemmo rileggere molte volte.

Solimano ha detto...

Io sono la reincarnazione dello zio Podger. So qual è il meccanismo infernale: occorre essere inesperti e distratti, però nel contempo con smanie di organizzazione strutturata. E ci si incacchia, si dà la colpa alla struttura (la famiglia) che non si attiene alle disposizioni che l'inesperto-distratto ha fornito. Tranne in due cose, in cui la mia professionalità è tale che ho a disposizione un second career: la stiratura delle camicie da uomo e il caricamento ottimale del lavastoviglie.

saludos y besos
Solimano

Giuliano ha detto...

Io le piazze le farei così: una con il monumento a Campanile, un'altra con il monumento a Carroll, un'altra con il monumento a Jerome (non equestre, ma in barca), eccetera.
Poi Campanile scenderebbe giù e andrebbe a farsi quattro passi, come in uno dei suoi racconti...