Un invitante canestro di biscotti non manca quasi mai
nelle pitture di cucina di Evaristo Baschenis, maestro di ricerca prospettica e volumetrica nonché di raffinate sollecitazioni materiche.
Come questo, qui accanto, posato su una brocca di coccio lucido, affiancato ad un tegame, una ciotola, un tagliere e inserito in una composizione affollata di pennuti spennati e pronti ad essere trasformati in cena sontuosa.
In principio la chiamavano pittura del naturale, poi di vita silenziosa o immobile, di soggetti da ferma o di cose inanimate, pensando alla vita interiore delle cose che l’artista rivelava creando – così – non solo le forme ma anche i contenuti. Poi divenne natura morta, indicazione didascalica di una rappresentazione che alla condizione inanimata della natura o dell’artificio nelle cose non disperava – comunque – di strappare il segreto che le fa essere così come ci appaiono. Una realtà che solo la pittura, attraverso la sua interpretazione, rendeva leggibile pur essendoci ignota.
Un meccanismo vitale innescato dall’artista che inizia lì dove quello d’origine si è fermato. Fiori, piante, verdure, piccoli animali si mescolano infine a strumenti musicali, oggetti d’arredo, stoviglie, piccole sculture, mappamondi, ed oltre il loro aspetto visibile e la loro qualità decorativa e descrittiva si fanno simbolo, archetipo, significato recondito, concetto filosofico, sollecitando l’indagine che ne riveli la vitalità immobile e necessaria a giustificarne la presenza nel mondo degli uomini.
Una vitalità interna e profonda, che obbliga spesso a sezionare, smembrare, dividere animali e frutta, perché il cuore è qualcosa che in vita non è possibile vedere né conoscere, e il silenzio un abito d’innaturale apparenza che maschera le voci di dentro. L’incontro e la combinazione tra gli ingredienti favorito dalla composizione pittorica, spesso abbinati alle stoviglie pertinenti alla tavola imbandita, suggerisce talora la ricetta in grado di trasformarli in piatti semplici o raffinati. In un clima di sovrabbondanza e ostentazione, dai dipinti si sprigionano nuovi gusti e nuovi profumi mentre si celebra solennemente il procedimento di preparazione culinaria delle vivande come se anch’esse fossero – alla fine – delle opere d’arte.
Come se anche al cuoco spettasse l’atto creativo, il decisivo intervento di chi manipola l’elemento naturale inanimato per trasformarlo in commestibile e attribuirgli una finalità superiore della sua esistenza, fatta di forma e contenuto, tentazione e ammiccamento esteriore ma anche intensità di quel sapore nascosto che nel piatto si ricompone scendendo a patti con tutti i sensi. Sensi non più destinati alla conoscenza delle cose bensì alla loro consumazione.
Da tutto questo prende le mosse un delizioso libretto frutto del lavoro di squadra di uno storico dell’arte, una chef e una giornalista “gastronauta”, nel quale trentasette nature morte italiane e fiamminghe offrono lo spunto per parlare di sé e del proprio tempo e dar voce alle cose rappresentate.
Accompagnandosi ad una ricetta ad hoc elaborata sulla base degli elementi presenti nel dipinto (a quello di Baschenis viene ad esempio associato uno stufato di carni miste, alla Natura morta con prosciutto di Carlo Magini una zuppa di cipolle, a quella con dolci, fiori e strumenti musicali di Giuseppe Recco – conosciuta anche sotto il titolo de I cinque sensi – una golosa preparazione a base di bignè al cioccolato, biscottini al cocco e scorzette di arance candite) e realizzando così la piena esperienza dei sensi, fine ultimo di ogni vita silenziosa di cui si riesca a intercettare la voce conquistandone il cuore.
(domenica, 30 dicembre 2007)
Da Squilibri
3 commenti:
Sì, il quadro di Recco è una allegoria dei cinque sensi. L'ho guardato con attenzione perché in apertura e chiusura delle "Novellette degli Odori" nel Wird ho voluto mettere due quadri con la rappresentazione dei cinque sensi, ed ho scelto due opere famose di Baugin e Linard. Il senso più difficile da rappresentare era il tatto, se la cavavano o mettendo delle monete o delle carte da gioco (scelta furba, perché monete e carte da gico si maneggiano). Qui Recco usa il forziere, che contiene le monete. Bella, l'idea di mettere insieme still life e gastronomia, mi fa venire in mente una associazione emiliana che faceva i pranzi sociali con menù di archivio, ad esempio estensi. Non si finisce mai di scoprire cose, guardando le cosiddette nature morte. A Brera, con altri tre blog, ne abbiamo scoperto in due quadri di Vincenzo Campi, uno quello della famosa fruttarola, l'altro di una cucina in cui un cane ed un gatto si azzuffano sobillati da una cuoca che mette in mezzo delle frattaglie.
grazie e saludos Stefania Mola
Solimano
Ma certo! Il forziere contiene le monete. Confesso che non ci ero arrivata. Se non altro per esclusione avevo capito che dovesse rappresentare il tatto ma, ingenuamente, avevo pensato che per aprirlo devi per forza toccarlo. Cosa che però, a pensarci bene, potrebbe valere per qualunque oggetto.
Grazie, Solimano, per avermi illuminato e non ridacchiare sotto i baffi.
H.
Cara Habanera,
arrivo solo adesso, in riprovevole ritardo, a ringraziarti per l'ospitalità. E – naturalmente – per l'occasione di sentire qualche altra voce su temi che mi sono particolarmente cari.
Grazie anche a Solimano, mi sembra implicito. :)
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