sabato 5 gennaio 2008

Conserva




Conserva

di Zena Roncada
(Colfavore delle nebbie)


L’estate poteva ben avere questo profumo di pareti ritinte, o il colore tenero di muri sirena, ma se un colore doveva imporsi sugli altri, se un odore doveva straripare, ad accorpare giorni sempre uguali, quello era il rosso.
Della conserva di pomodoro.
Un grosso di forze, richiedeva, che aveva corrispondenza solo nella lavata di primavera, quella con i paioli fuori e la cenere dell'inverno, e con la liscivia quasi turchina, in certe venature.
Un dispiegamento di vasi di vetro usciti da profondità nascoste della casa, forse dalla dispensa, che si prolungava in un sottoscala orrido di ragni solo immaginati.
E stracci, stracci per avvolgere i vasi perchè non avessero a tintinnare, a urtarsi, quando il bollore inventava scoppi di caldo e impennate di schizzi.
Con mani di sangue lavoravano la Dina e le nuore, stanche e accaldate.
L'odore si accampava nella casa, per restarvi. Acido e dolce, insinuante e vischioso, capace di bucare il naso e lo stomaco. Un languore cavo era il regalo del pomodoro, che si strozzava nelle unghie del tritaverdure, e si gonfiava in bolle compatte nel pentolone in cui sobbolliva.
Erano giorni di agitazione, quelli della conserva. Venivano convocate zie e cugine, persino la nuora lontana, in un concitato desiderio di sfidare il tempo.
Non so quando lo capii. Forse ne ebbi la certezza leggendo lo sguardo con cui la Dina fasciava di dolcezza le sue bottiglie piene. Non c'entrava per nulla la gara quotidiana dei sapori, per far dire agli uomini di casa, quando c'erano, "che buono!"
Dentro alla stanchezza di giornate spese a trinciare e a salare e a pesare, stava tutta la voglia di battere il tempo, di aggirarlo, di chiuderlo in un barattolo.


Conservare, tenere da parte un vasetto di colore, una bottiglia di sole, una cucchiaiata di odore.
L'estate, da riaprire in inverno: metamorfosi di una giornata di nebbia, schizzata col rosso del caldo, della luce.
E’ che a vivere in pianura , con la nebbia che già ad agosto ti aspetta la mattina presto, si diventa un po' matti, o bisogna esserlo, un poco, per inventare.
Indovinare le cose dentro la nebbia è come scoprire il sapore dentro una bottiglia. Un sapore di vetro che cammina all'indietro e va a scavare una scia. La percorrerà chi l'ha segnata, chi ne ha posto, dall'altro capo della memoria, il primo sasso. Ma anche chi è stato dentro la scia, testimone o fattorino, compagno o ospite di un’estate rossa rossa di conserva.


La nuora lontana, quella fuori casa, arrivò aggrappata al vespino del figlio giovane della Dina, bello e geometra, il primo ad avere studiato a scuola in casa mia. L’ altro aveva studiato sfogliando strade e libri di partito. E l'altro ancora non c'era più. Si attendeva sempre con manifesto piacere l'arrivo di questi zii perchè portavano l'eco di una cadenza ferrarese nel parlare e regalavano il senso del lontano, del quasi mare, dove, d'estate si poteva andare.
Lei, così bionda, teneva i capelli con il foulard chiaro non annodato sotto il mento ma stretto dietro a fasciare il collo, come la Loren in un film.
Il vestito bianco col collo sciallato sembrava la cosa più lontana dalla conserva che potessi immaginare, era tutte le cose buone e candide del mondo.
Miamamma si lisciò la sua vestaglia scura di pomodoro, prima di salutare la cognata, col dispiacere di farsi sorprendere così, in quella domenica laboriosa, col vestito brutto che non aveva fatto in tempo a cambiare. E addosso il forte della salsa che si rapprende.
Il vestito bianco liberava, invece, un odore felice. Dopo tanto rosso, dopo tanto acido...


Quando abbracciai la zia fui sicura: cose e odori potevano avere complicità, il colore di un vestito sapeva restituire la sua promessa di profumo, quasi di gusto, senza inganni. Dolce su dolce, bianco su bianco. Segreto o sortilegio di pelle. Invisibile.
Finalmente la pace fra cose e odori e sapori, giocata a un crocevia di latte o di giglio, di cipria o di schiuma.
Stretta di pelle fresca e nuvola chiara nel naso, l'abbraccio.
Dentro c'erano tuberose zuccherate, gardenie candite, fra pareti color di crema.
Conquista di armonie, "leggere e vaganti".

venerdì, 02 novembre 2007


Da Pesci di nebbia

7 commenti:

Roby ha detto...

Non so fare la conserva, e mi dispiace: mi dispiace ancora di più adesso, dopo aver letto questo post che vorrei definire "odoroso". Il profumo di pomodoro, quando mi arrischio a realizzare una specie di veloce pommarola casalinga, mi conquista fino a inebriarmi!

Ciao, Zena!

Roby

Giuliano ha detto...

L'unico difetto è che siamo un po' fuori stagione... Nostalgia dell'estate, cara Habanera, oppure uno sguardo verso il futuro?
(il calendario dice che le giornate si stanno già allungando)

Habanera ha detto...

"L'estate, da riaprire in inverno: metamorfosi di una giornata di nebbia, schizzata col rosso del caldo, della luce."

Caro Giuliano, in una giornata particolarmente fredda ed uggiosa mi sono capitate sotto gli occhi queste parole di Zena. Ho sentito il calore del sole ed ho voluto portarlo qui, per farlo sentire anche a voi.
Sono prove di sopravvivenza, se il prezzo del petrolio continua a salire dovremo imparare a riscaldarci solo con le parole...
H.

Anonimo ha detto...

Mi ha fato ricordare un periodo della mia vita in cui andavo a fare le ferie in unpaese del sud e la mamma di una mia amica mi invitava a fare queste conserve. Un vero e proprio rito molto bello anche se faticoso a cui non mi sottraevo mai e che era davvero un momento anche di incontro tra donne di tutte le età bellissimo. Giulia

Solimano ha detto...

Ho vissuto questa esperienza da piccolo, arrivavano tutti gli schizzi sul pavimento, quindi ci si metteva della carta, una gran confusione in casa piena di donne, madri, figlie, sorelle, cognate. Un gran ritorno nel cibo di tutti i giorni non l'ho notato, ma era la mamma a preparare. Per me, il motivo vero per cui lo facevano e che non confessavano forse perché ne erano consapevoli, è per trovarsi tutte insieme fra donne, con gli uomini fuori dai piedi. C'era qualche invidia e rivalità, specie fra donne fatte cittadine e donne rimaste campagnole, ma di fondo scattava la grande forza secolare: la solidarietà femminile, oggi quasi del tutto estinta.
Per me era invece festa grande il giorno prima di Natale e di Pasqua: la preparazione dei tortellini, in cui gli uomini avevano dei loro ruoli specializzati, anche se chi reggeva tutto era l'arzdora, quella che sapeva fare la sfoglia ed il ripieno.

grazie Zena e saludos
Solimano

Anonimo ha detto...

Eccomi:)
L'influenza mi ha intorpidito e arrivo solo ora.
Incantata per la cura con cui le parole, qui, vengono accolte e ambientate.
Grazie: è bello rileggere le mie con questo valore aggiunto.

Un saluto riconoscente.
z.

Habanera ha detto...

Sei molto più che una persona gentile, sei... Zena. Non trovo altre parole.

Ti ringrazio e ti abbraccio
H.