Sentire un non toscano sforzarsi di parlare con accento "fiorentino" è -per gli indigeni- estremamente divertente. Intendiamoci, dev'essere ugualmente spassoso, per un palermitano, assistere agli sforzi di un milanese per imitare la parlata sìcula ("Montalbano sono!"), o irresistibile, per un veneziano, ascoltare un calabrese che interpreti la goldoniana Locandiera.
Di solito, chi imita il fiorentino tende ad infilare c aspirate dappertutto, anche dove non ce ne sono: e questo perchè l'aspirazione, spesso, varia a seconda della lettera (vocale o consonante) che precede la c incriminata. Ad esempio, dovendo "tradurre" in vernacolo Il cane di mia madre non la smetteva di abbaiare, si dirà I'ccane (e non Il hane) della mi' mamma un si volea hetare; mentre in Caro, dove hai lasciato il tuo cane? la pronuncia sarà: O nini, ndo' tu l'ha' messo i' tu' hane? Altro punto dolente del fiorentino parlato è la t tra due vocali. Andato, passato, comprato, ecc. si trasformano inesorabilmente in andatho, passatho, compratho e simili (se non addirittura in andaho, senza più alcuna traccia di t): e i professori che insegnano inglese nelle scuole di Firenze gioiscono, increduli, di come gli scolari locali riescano a imparare senza sforzo la pronuncia del th di the, thousand, three, ecc.
Io ci sono nata, all'ombra del campanile di Giotto, ma da piccolissima mi sono trasferita a Bologna con tutta la famiglia, rimanendoci 10 anni: qui, tra le due torri, la mia maestra delle elementari insisteva sempre perchè facessi sentire alle mie compagne l'esatta dizione di parole come bène (e non béne), giardino (e non zardino), stella (e non stalla... il che, specialmente a Natale, generava imbarazzanti confusioni!). Adoravo quell'insegnante -per me quasi una seconda mamma- ma non quando mi spingeva a fare da professoressa alle altre: le quali, se avessero potuto, mi avrebbero incenerito, mentre leggevo, in piedi davanti alla cattedra, il classico raccontino del libro di lettura!
Ironia della sorte, tornata a Firenze in età adolescenziale, le mie nuove colleghe di studi mi prendevano in giro per il mio accento "bolognese": e questo perchè, lontana così a lungo dalle rive dell'Arno, la mia c aveva perso ogni aspirazione, rassegnandosi a tornare al tran tran di una vita da consonante "normale"...
Di solito, chi imita il fiorentino tende ad infilare c aspirate dappertutto, anche dove non ce ne sono: e questo perchè l'aspirazione, spesso, varia a seconda della lettera (vocale o consonante) che precede la c incriminata. Ad esempio, dovendo "tradurre" in vernacolo Il cane di mia madre non la smetteva di abbaiare, si dirà I'ccane (e non Il hane) della mi' mamma un si volea hetare; mentre in Caro, dove hai lasciato il tuo cane? la pronuncia sarà: O nini, ndo' tu l'ha' messo i' tu' hane? Altro punto dolente del fiorentino parlato è la t tra due vocali. Andato, passato, comprato, ecc. si trasformano inesorabilmente in andatho, passatho, compratho e simili (se non addirittura in andaho, senza più alcuna traccia di t): e i professori che insegnano inglese nelle scuole di Firenze gioiscono, increduli, di come gli scolari locali riescano a imparare senza sforzo la pronuncia del th di the, thousand, three, ecc.
Io ci sono nata, all'ombra del campanile di Giotto, ma da piccolissima mi sono trasferita a Bologna con tutta la famiglia, rimanendoci 10 anni: qui, tra le due torri, la mia maestra delle elementari insisteva sempre perchè facessi sentire alle mie compagne l'esatta dizione di parole come bène (e non béne), giardino (e non zardino), stella (e non stalla... il che, specialmente a Natale, generava imbarazzanti confusioni!). Adoravo quell'insegnante -per me quasi una seconda mamma- ma non quando mi spingeva a fare da professoressa alle altre: le quali, se avessero potuto, mi avrebbero incenerito, mentre leggevo, in piedi davanti alla cattedra, il classico raccontino del libro di lettura!
Ironia della sorte, tornata a Firenze in età adolescenziale, le mie nuove colleghe di studi mi prendevano in giro per il mio accento "bolognese": e questo perchè, lontana così a lungo dalle rive dell'Arno, la mia c aveva perso ogni aspirazione, rassegnandosi a tornare al tran tran di una vita da consonante "normale"...
9 commenti:
Cara Roby, magari quando ci vediamo ti racconto a voce com'è il test per capire se uno è brianzolo oppure no... (qui non si può, per ragioni fonetiche ma non solo) (e comunque ci sono differenze fra il milanese, il comasco, il brianzolo: ma ormai chi le ascolta più?).
Cara Roby, conoscevo un chimico italiano, di Ravenna, che dopo anni negli USA ancora rifiutava sdegnosamente il "th" (io ne avevo imparato uno, poi mi dissero che ce ne sono due: uno dolce per "the" e uno duro per "thumb"). Lui diceva senza problemi cose tipo:
"I zink I'll zrow zat zing away".
Toglimi una curiosità: l'Acqua Cheta della commedia ha a che fare con la cascata che si trova tra Toscana e Romagna?
Ciao,
Nihola
Caro Giuliano, naturalmente ci sono differenze -abbastanza evidenti per i toscani, per gli altri non so- anche fra fiorentino, pisano, aretino e livornese (vedi ad es. il "deh", intercalare tipico di quest'ultimo). Ma hai ragione: anche queste si vanno perdendo....
Caro Nihola, mi spiace deluderti, ma la cascata (che ho visto e che è splendida!) non c'entra. "L'acque chete" dice il proverbio "rovinano i ponti": e nella commedia ci sono due figlie, l'una ribelle e irrispettosa, l'altra apparentemente calma e tranquilla... ma sarà quest'ultima (l'ACQUA CHETA, appunto) a gettare lo scompiglio in casa, tentando la classica fuga d'amore con un baldo giovanotto. Ovviamente nel finale tutto si risolve felicemente, ed anche la figlia "cattiva" viene riabilitata e può sposare l'uomo che ama.
Addio, nini!
Roby
... ah, e poi ci sono anche gli Svizzeri, che in realtà sono lombardi anche loro, e a noi di qua sembrano buffissimi. Non so se ti ricordi, Aldo Giovanni e Giacomo ne avevano fatto uno sketch.
Però io volevo dire che i toscani sono molto più eleganti, a parte Luciano Moggi che è di Siena... 8che mi dici dei senesi?)
Dopo Firenze, Siena è la città toscana che preferisco ("città", perchè poi ci sono tanti paesini magnifici sparsi qua e là): la parlata senese non è male, ma pensando a Moggi vengo colta da un certo senso di agitazione allo stomaco...
[:-///]
Roby
PS: comunque, la più simpatica delle mie colleghe ai tempi dell'università era senese!
[:->>>]
Avendo vissuto per qualche anno in Toscana, molto vicino a Firenze, riesco ancora a distinguere il fiorentino rispetto al senese, livornese, etc.
Ma da qui a sapere quando si deve aspirare la c e quando no ce ne corre. Mi sono divertita molto a leggere questo post che mi ha fatto scoprire sottigliezze linguistiche che mai avrei immaginato.
Un bacio a Roby ed a tutti i passanti
H.
Concludo con un invito a "decifrare" Delio Tessa (poeta milanese non facile ma grandissimo); e aggiungo solo che il signore citato sopra non è certo uno dei peggiori nel mondo del calcio, ma che è di certo una persona molto volgare, anche per un toscano.
saludos
Giuliano
PS: ma, a proposito, te tu te lo rihordi Paolo Hendel che fa la caricatura del toscano simpatico? (quando vuole, è grande) (mica sempre gli riesce, ma se gli riesce...)
La mamma e il babbo in casa fra di loro parlavano in dialetto (un bolognese un po' ruspante, la mamma di Medicina, il babbo di Sasso Marconi), ma con me e mia sorella parlavano in italiano, perché volevano che noi non imparassimo il dialetto. Poi ho girato, ed ho visto che da altre parti non era così: a Trieste le trattative ad alto livello si svolgevano in triestino, d'altra parte Svevo ha scitto in italiano traducendo dal triestino con cui pensava. Le difficoltà più trandi le ho avute ad Udine: il loro dialetto (guai a chiamarlo così, loro dicono che è il ladino) era incomprensibile o quasi. Anche il brianzolo non scherza. Credevo di non avere più un accento definito, visto che avevo girato molto, ma un giorno mi registrai mentre leggevo ad alta voce: il mio accento parmigiano era fortissimo, come era inevitabile, ci ho vissuto ventisei anni. Roby non lo dice, ma lo sa, il toscano migliore è quello di Siena, vero Roby?
saludos
Solimano
Chi sa che sei della toscana, tira fuori una parlata fiorentin-pisana da piangere o da attacco isterico di risate.
Ma il livornese veramente livornese, quello di Beppe Orlandi, di Gino Lena o degli autori delle macchiette vernacolari di oggi, nessuno riesce ad imitarlo.
Un poeta che ho conosciuto a delle letture di poesie, parlando del suo "primo contatto" col vernacolo, disse che rimase un pò sconvolto da una scenetta svolta tra due persone che si salutavano.
Uno un sella alla sua bicicletta che passando vede un amico e gli grida: Oh Mario!!
E l'altro, di rimando: Vieni, oh troiaio!
Se pensate che fosse un insulto - come pensò inizialmente questa persona - vi sbagliate di grosso.
In realtà è - quasi - un vezzeggiativo. Giuro!!!!
Carla
Posta un commento