lunedì 11 giugno 2007

Finesecoli



Finesecoli

di baotzebao


La stretta di mano fragile, le gote arrossate fredde, niente più di un sorriso smezzato. Da indizi labili un segno di forza nascosta: appendere dritto il giaccone di pelle nera, e quell’alzare il mento ad occhi bassi. Timida, non arrendevole. C’è filo di ferro sotto la crema della pelle, un petto nobile venato di blu. Radja era già stata in quella stanza, prima. Le parole del ragazzo grasso le passano attraverso gli occhi: di sguardi risponde, non di suoni. Un ricordo di letture condivise apre la porta alla memoria. Le scale in giù, dal terzo piano verso la strada in centro, nelle prime ore di un anno nuovo con tre zero. Lo aveva lasciato dormire, usciva dalla casa come da un sogno ancora nitido, familiare, privato. Non tornerò qui più, pensava, eppure eccomi di nuovo qui -pensa adesso. “Sono cambiato”. La lettera di aiuto era arrivata in tempo. Alle lune piene, ai primi fiori di pesco, ai passi nella neve, al tormentarsi le mani vanno pensieri sincroni e definiti come cristalli di un fiocco impassibile, trattenuto nel palmo reticolare della mente. Non è più quella, Radja. Ci sono io, qui, adesso. La coppa di tè caldo, stretta fra le mani, la riscalda dai polpastrelli al naso. Accosta le labbra al bordo, lo vede mentre si volta, ha capelli e spalle e voce di una volta, pensa, anche se davanti sembra un altro. Lo vede come è sempre stato.
- Alle tre ci aspettano, ma c’è tempo, possiamo sederci un po’, se vuoi…
Annuisce.
Lui le prende la mano nel palmo, da sotto, l’alza verso il viso e si disegna una carezza. Lo lascia fare, trattiene il moto dell’altra che vorrebbe fermarlo. Le bacia la punta delle dita, un soffio la commuove. Sente le spalle cedere al tenue sforzo di resistere. Appoggia il viso sulla sua mano, la tiene, si abbandona, chiude gli occhi.
Restano lì per minuti, ad ascoltarsi respirare. Non pensieri, non ricordi, non parole: timidezze.
Dopo l’amore, dove si va, dopo ? - pensa e s’alza di scatto.
- Vado via.
- Sì, un momento, vado di là, aspetta…
Indossa il giaccone, lascia la stanza. Sileziosamente apre e chiude la porta dietro a sé. Sale di un piano, si acquatta dietro l’angolo, lo vede uscire e scendere di corsa. Lo sente tornare su, lo immagina stremito, in ansia, offeso. Il colpo della porta è il Via. In un momento è fuori dal nascondiglio, fuori di casa, fuori nella strada aperta. Senza più fiati, rossa, calda e debolissima. Non ho bevuto il tè - pensa fermandosi - sarà più tiepido, adesso.
Alla fermata un gruppo di persone si protegge dal freddo. Un uomo ha appena acceso la sigaretta, la getta via. Il disprezzo anima le labbra della donna che gli sta alle spalle. Salgono sull’autobus, Radja resta a terra. La guardano con facce stupite. Saranno i miei zigomi ? – pensa, ma sorride e dice: Vado a piedi.
Il calore forzato del grande magazzino la accoglie dieci minuti dopo. Un sottopassaggio verso casa, un po’ di gente attraverso i cui volti distrarsi. Le commesse del reparto cosmetici, un’accampamento di specchi e colori, hanno parole di comprensione per tutte. Le creme che rassodano, i profumi dorati trasparenti, le lacche, i rossetti, che sarebbe del loro fascino senza nomi di sogno, confezioni preziose, etichette raffinate? Si parla sottovoce, qui, il fiato non si vede. Pezzettini di scotch per accurate scelte di colore. Pensieri di piacere, cure di bellezza, prove tecniche di finzione. La posso aiutare? No grazie, rispondono gli occhi di Radja, e corrono via verso il prossimo specchio. Sono bella anche senza trucco.

Da a vànvera

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