lunedì 14 maggio 2007

Attrazione e Affinità




Attrazione e Affinità

di Placida Signora


Nelle amicizie, nei luoghi e nelle cose.
Ci sono due parole che mi piacciono molto: attrazione e affinità.
Mi piacciono come suono; la prima è croccante, come un morso dato ad una cialda e la seconda è delicata come un sussurro.
Mi piacciono perché sono parole di quelle che io definisco come epidermiche; che indicano cioè un qualcosa che ha poco di razionale, ma molto d’istintivo.
E l’istinto, uno dei pochi primitivi strumenti rimasti a noi, civilizzatissimi e tecnologicissimi creaturi anni 2000, è sempre un qualcosa di affascinante.

Ebbene; spesso mi chiedo perché ci sentiamo immediatamente attratti da qualcuno o qualcosa (persona, oggetto o luogo, non importa), scoprendo poi nella maggioranza dei casi di essere a questo anche affini.
Badate, non sto facendo un discorso amoroso (nel quale entrerebbero altri elementi): parlo soprattutto di scelte nell’amicizia e nella vita in genere.

L’attrazione (ad trahere, tirare verso) almeno per me scatta per minuscoli elementi; una frase, un tono di voce, uno sguardo, un profumo, un colore, un refolo di vento, un aggettivo, un risata, un suono, un riflesso, un movimento, un minimo particolare magari stupidissimo che però mette in all’erta i cinque sensi insieme.
E’ il “primitivo“, il sesto senso che capta… cosa?
Emanazioni? Onde? Vibrazioni? Pensieri?

Non lo so. So solo che spesso in tutta la mia vita mi sono sentita attratta da qualcuno o da qualcosa in maniera assolutamente immediata: mi è successo ad esempio di leggere un particolare autore, e di sentirmi talmente coinvolta dalle sue parole da pensarmi vicino a lui, in senso familiare.
Da bambina adoravo Guareschi, soprattutto i libri in cui parlava della sua famiglia; Albertino e Carlotta detta Pasionaria non erano solo personaggi cartacei, ma veri per me.
Concreti.
Sentivo nelle loro parole le mie.
Mi sembrava di essere insieme a loro nelle vare situazioni descritte; prevedevo le loro battute e reazioni, come se li avessi conosciuti davvero da un sacco di tempo.

Ebbene. I casi della vita (l’aver pubblicato alla Rizzoli, editrice storica del loro papà) mi hanno portato poi a conoscerli sul serio, quando bambina non ero assolutamente più.
E sin dal primo momento è stato naturalissimo parlarci e vederci, come esserci ritrovati dopo tanto tempo, ma come se questo tempo non fosse mai passato; e loro mi hanno detto di aver avuto la stessa identica sensazione leggendo me, nei libri o negli articoli.
Come se Alberto, Carlotta e Mitì fossero in qualche modo sempre stati uniti.
Da cosa?
Dall’affinità (affinis, letteralmente confinante). Dalla somiglianza di pensiero, educazione, cultura, gusti, storia, senso dell’umorismo: tutto.
Non importa la differenza d’età; è come vivere una vita parallela in un’altra dimensione, dove il tempo e il “reale concreto” non contano.
E questo è solo un caso fra tanti. La maggioranza dei miei più cari amici che scrivono lo era già, amico, prima che ci incontrassimo; li sentivo tali solo leggendoli. Lo so che sembra cretino detto così, ma pensateci.

Non vi è mai successo di pensare/sognare/leggere/immaginare qualcuno o qualcosa di lontanissimo in quel momento, di sconosciuto, quasi non-reale, e poi di vedere (nel senso di vederlo concretamente, a un certo punto, magari dopo anni) materializzarsi vicino a voi, quel qualcuno o quel qualcosa?
Non vi è mai accaduto d’incontrare per caso persone che immediatamente sono diventate importanti per voi come entrambi vi foste conosciuti da sempre?
Oppure di scoprire, sempre per caso, delle cose o dei luoghi dei quali ora non potete più fare a meno, perché non ne avete mai potuto fare a meno?

Una specie di déja-vu, ma più… più indescrivibile.

Cosa ci spinge a scegliere d’impulso un oggetto al posto di un altro, anche se simile all’apparenza, un luogo al posto di un altro, una persona al posto di un’altra?
Che cos’è che ci attrae istintivamente verso qualcuno o qualcosa di preciso?

Io non riesco a rispondere in modo logico, se non buttandola sullo scherzo dicendo “Magari averli vissuti in un’altra esistenza”.

E voi?


Da Placida Signora

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