mercoledì 8 ottobre 2008

Una visita guidata - Alan Bennett


Giorgione: Il Tramonto, c. 1506
The National Gallery, Londra


Una visita guidata

di Stefania Mola
(BibliotecadeBabel)




Solo quello che vedi con la coda dell'occhio ti tocca nel profondo.
(E.M. Forster)



Se siete tra quelli che, in visita ad un museo, attraversano in fretta una stanza puntando dritti ad un'opera d'arte e – una volta al suo cospetto – avvertono (pur con qualche imbarazzo) l'irresistibile desiderio di portarsela a casa, niente paura. Siete solo sensibili all'aura che essa emana e avete in lui un compiacente compagno di merende...

Che per l'occasione racconta il suo rapporto con alcuni capolavori della pittura di ogni tempo complice una visita attraverso la National Gallery, celebrando la sua personale idea di arte come incontro, ovvero di esperienza intima e privata in luogo pubblico, al limite tra due sfere che sono spesso due abiti e due identità, e che ne fanno mistero e fascino, esperienza non completamente comprensibile neanche agli occhi di chi guarda.

Un'esperienza – per Bennett – intellettuale e non solo estetica, guidata dal personale interesse verso i significati (palesi o meno evidenti) veicolati dall'iconografia: «come i dossi di rallentamento sulla strada, l'iconografia ci costringe a frenare, e quindi a rimanere sul dipinto con una certa attenzione, e allora, come effetto collaterale (e si tratta di un effetto collaterale in senso stretto perché è qualcosa che avviene a lato e si vede con la coda dell'occhio), la bellezza del quadro, difficile da affrontare direttamente, comincia a farsi strada in noi».

Pensionante del Saraceni: Natura Morta con Frutta e Caraffa
c. 1610, 1620 - National Gallery of Art, Washington DC

Thomas Gainsborough: Mr and Mrs Andrews, 1750
The National Gallery, Londra

Da qui ad una interpretazione [anche] "alternativa" delle storie raccontate dai quadri è un attimo (di irriverenza contagiosa) coltivato insieme al sogno di poter vedere un giorno – proprio in quella National Gallery a lui familiare – un cartello con sopra scritto: «Non deve per forza piacerti tutto». Non foss'altro perché da bambino di alcune riproduzioni di quei quadri ti hanno regalato troppi puzzle; saranno pure capolavori, ma con «tutto quel cielo e tutti quei marroni come puzzle sono una sciagura!».

Annibale Carracci: Paesaggio, c. 1590
National Gallery of Art, Washington DC

Emanuel de Witte: Adriana van Heusden e sua figlia
c. 1662 - The National Gallery, Londra

Irriverenza e ilarità garantite, con il parallelo istituito tra i "tipi" del cinema e gli attributi iconografici che rendono riconoscibile (e decodificabile) un soggetto. Con la proposta di scorgere nelle "rivelazioni" iconografiche una forma più nobile di quello che – relegato ai piani bassi del gossip – è un passatempo nazionale a quasi tutte le latitudini. Con la definizione degli aspetti (involontariamente) comici adombrati dietro i personaggi (soprattutto santi) e i loro simboli, fino a concludere che l'impossibilità di separarli dai loro attributi, anche i più truculenti, sia segno di una «grave insicurezza relazionale»: come dire che santa Caterina senza la sua ruota faticosamente trascinata da un quadro all'altro o san Pietro Martire senza la mannaia confitta nel cranio ma l'aria per nulla turbata potrebbero avere una seria crisi d'identità e, nel peggiore dei casi, non essere riconosciuti da alcuno.

Fino alla "riconciliazione" e all'annullamento di ogni distanza "accademica": «A volte, leggendo un libro – o un romanzo – ci imbattiamo in un pensiero o in un sentimento che abbiamo provato anche noi. Però non ne avevamo mai parlato con nessuno, credendo che si trattasse di un fatto del tutto personale. Poi lo ritroviamo lì, nero su bianco, ed è come se l'autore ci avesse teso la mano». Bennett li chiama «indizi di umanità», e noi – spesso stanchi e distratti come il suo pendolare capace di cogliere con la coda dell'occhio non l'immagine ma il frammento (pur senza cercarlo) ne siamo estremamente confortati.
(venerdì, 04 luglio 2008)

Alan Bennett
Una visita guidata
Adelphi, Milano 2008


Da Squilibri

Jean-Honoré Fragonard: Visita alla Nursery, c. 1784
National Gallery of Art, Washington DC

Jan van Eyck: ritratto di Giovanni Arnolfini
e sua moglie, 1434 - The National Gallery, Londra

P.S. Le immagini sono tratte dai siti della London National Gallery
e della National Gallery of Art, Washington DC
(Habanera)

8 commenti:

Roby ha detto...

Che bello! Il post, le immagini, tutto! Brava Stefania, bravo Bennett, brava Habanera (splendido sito, quello della nga). Non mi resta che procurarmi il libro... solo 5,50? non ci credo...

Roby

Solimano ha detto...

Il senso dell'umorismo è esattamente il contrario dell'invidia, nel senso che il senso dell'umorismo tutti dicono di averlo ma pochi ce l'hanno, mentre l'invidia pochi dicono di provarla ma quasi tutti la provano (tutti secondo me, solo che alcuni, più per fortuna neuronale che per merito, convertono l'invidia in ammirazione).
La mancanza di senso dell'umorismo e l'invidia hanno fra loro un collegamento, ma non è questo che mi interessa ora. E' invece che poche categorie sono così prive del senso dell'umorismo come i critici d'arte (e ci aggiungo i critici letterari). Tranne gli iconologi e i filologi, e il motivo c'è: hanno una coda di paglia molto più corta perché sanno che quando sbagliano pagano pegno, in quanto l'errore è evidente, la falsicabilità degli argomenti esiste.
Mentre si potrebbe fare una edizione speciale del Chi l'ha visto? in TV per trovare un critico, uno solo, che abbia scritto di avere sbagliato rovinosamente dopo il ritrovamento nei canali di Livorno di sculture di Modigliani false e bugiarde: tutti a correre dietro ad Argan e a Brandi per il mirabile ritrovamento. Tutti zitti, dopo.
Come si potrebbe finalmente individuare chi, nell'organigramma degli Uffizi, non prestò la Madonna dal collo lungo per la mostra di Parma sul Parmigianino. Dissero che volevano fare loro la mostra capitale sul Parmigianino, trascurando il dettaglio che tutti gli affreschi sono a Parma ed a Fontanellato. Probabilmente è lo stesso -o la stessa- che ha accettato di spedire l'Annunciazione di Leonardo (su tavola) a Tokio su richiesta di Rutelli, bellu guaglione e ministro dei Beni Culturali. Arridatece la Bono Parrini, verrebbe da dire, ma il peggio non è mai morto.
Quindi benvenuto Alan Bennett e benvenuta la National Gallery che ha un pregio, rispetto agli altri grandi musei: non stanca fisicamente, mentre dal Louvre, dal Prado e dall'Ermitage si esce stremati.
Ridere e sorridere, anche con irriverenza è comunque meglio della tristizia sistematica a cui la guida triste costringe il turista triste perché costretto a farsi piacere quadri che non gli piacciono e che non capisce.
Stefania, fra un po' nel Nonblog scriverò qualcosa sull'accostamento alle opere d'arte, e cercherò di non fare il grilloparlante, ma sarà dura, la tristizia infierisce!

grazie Stefania e saludos
Solimano
P.S. E il Correggio a Parma lo vai a vedere? E l'Aspertini a Bologna? Parliamone.

Anonimo ha detto...

Eccomi... finalmente in casa tutto tace e posso affacciarmi anche qui. Ma che meraviglia, Habanera, mi cogli proprio di sorpresa! Certo che a voler seguire le suggestioni di Bennett c'era solo l'imbarazzo della scelta, quanto a dipinti... ma come al solito hai saputo fare di più. Bellissime scelte, anche il post non sembra più lui... :)))
Grazie, sempre.

Roby,
solo 5,50, sì. Questa Biblioteca minima di Adelphi, a tale prezzo, regala una chicca dopo l'altra...

Solimano,
quest'anno quanto a mostre mi è andata di lusso, specie tra Umbria, Romagna, Toscana e Roma. Le ultime tre che ho visitato – un mese fa – sono state quelle fiorentine sui fiamminghi, sulla luce degli Impressionisti e sull'eredità di Giotto. Vorrei chiudere bene l'anno riservandomi almeno Bellini (Mantegna a Parigi è fuori dalla mia portata in questo periodo) e... certo che andrò da Correggio. Ero a Parma di passaggio due giorni prima dell'apertura ufficiale della mostra (ed essendo "fuori tempo" mi sono limitata a consolarmi nella libreria Fiaccadori), ma ci torno, anche perché il consorte fa spesso su e giù e non stiamo aspettando che la prossima occasione per un'altra delle nostre trattorie slow food (lui ha un debole per il culatello, io per i tortelli di zucca). :D

Quanto ad ogni altra considerazione da te proposta, sorrido sotto i baffi finti e approvo... Nella levità di Bennett ho ritrovato molto della mia passione e tutto ciò che ti fa venir voglia di sfruculiare gli accademici e seriosissimi custodi delle arti barbose. Penso alla personale soddisfazione che provo a portarmi dietro i pargoli nei musei e a raccontar le storie che non si vedono al primo colpo, persino quelle "dissacranti". Penso a mio figlio (sette anni) che nel bookshop di Palazzo Strozzi al termine della mostra sugli Impressionisti, mentre io me la vedevo tra i libri, ha scovato una cosina di suo gradimento tra i gadgets magnetici: corre verso la cassa sventolando la figurina prescelta (la famosa sedia impagliata di van Gogh, pronta a tenere compagnia agli altri magneti sulla porta del frigo) e con aria contrariata chiede all'ignara signorina:
"Scusi signora, avete solo questa, di sedia?".
"...?"
"No, dico, non c'è anche la sedia di Goghèn, che la devo mettere di fronte?"
"...Ehm, no, altre sedie non ne abbiamo, solo quello che vedi nel cestino..."
"Uh, che peccato, e poi su questa sedia di van Gogghe che avete voi non ci sta neanche la pipa, uffa!"...

Parliamone, sì, che ho una voglia di ripartire verso nord... :)

Elena ha detto...

Il conforto dell'arte, in letteratura è la scintilla che ti renderà dipendente da questa forma d'arte per sempre..
La consapevolezza che non tutto deve piacere per forza andrebbe formata fin dalla più tenera età. E' un principio fondamentale in qualsiasi contesto.

Anonimo ha detto...

Concordo con Elena, complimentandomi con Stefania per il bellissimo post, con Haba per averlo proposto. Anche io quando voglio descrivere un abito mentale molto diffuso di cui non andare fieri, cito la castronata delle teste di Modigliani. Tutti a dire la propria subito, tutti a tacere e a fare finta di nulla, dopo. Che brutto, adagiarsi alla presunzione e all'ignoranza!
Buona giornata:)

Solimano ha detto...

Mi sono scordato la cosa più importante: i soldi. Perché i critici d'arte sono non di rado contigui ai soldi, che sono seri, seiosissimi. Ce n'era uno assai famoso, che quindici giorni prima che uscisse il suo saggio colmo di acribìa su un pittore minore quasi sconosciuto, avvertiva alcuni cari amici... una specie di insider trading applicato all'arte. E il divertente gioco con le litografie, con le numerazioni degne della geometria non euclidea, con numeri di tiratura volatili, visto che la pietra non veniva biffata?
Ed è giusto che bisognerebbe essere educati al bello, ma anche al brutto, che è sempre esistito, non è che per definizione un fondo oro (bel termine...) del Trecento è per forza bello. La strada migliore non è un discorso di bello diretto (o direttissimo), ma un accostamento paziente -non pedante- altrimenti il bello è solo sensiblerie.
Però la situazione non è peggiorata, ma migliorata. Vent'anni fa a Brera non andava quasi nessuno, adesso c'è sempre gente. E' meglio verificare l'affluenza alle mostre permanenti, sono quelle che danno un senso di crescita culturale.

saludos
Solimano
P.S. Stefania, i tortelli di zucca vabbè, ma quelli d'erbette, vuoi mettere?

Habanera ha detto...

Stefania, dalla prima pubblicazione del post ho aggiunto e sostituito alcune immagini.
Dopo aver letto con attenzione l'adorabile libricino di Alan Bennett ho scelto di seguire l'aura...
Tu sai di che cosa parlo.

Ti ringrazio e ti abbraccio
H.

Anonimo ha detto...

Habanera, grazie!
[Ti ho risposto in pvt]

:D